La mannaia dell’autonomia differenziata sulle questioni di genere

 

di Fabio Carbone

Tra le conseguenze immediate e tangibili dell’autonomia differenziata delle Regioni prevista dalla legge Calderoli approvata pochi giorni fa si pongono quelle, drammatiche e gravissime, sui servizi socio-sanitari e nel sostegno alle categorie socialmente vulnerabili, come le donne, nel Mezzogiorno in particolare. Le diseguaglianze sociali presenti nel Sud Italia sono irreversibili senza un corposo e strutturale piano di investimenti nazionale che affronti le grandi questioni che affliggono il nostro territorio: precarietà professionale, dispersione scolastica, carenza dei servizi pubblici, parità di genere. Su quest’ultimo punto riteniamo di operare una sensibilizzazione particolare. In Italia il tasso di divario tra l’occupazione maschile e quella femminile raggiunge una percentuale del 20%, ma nelle regioni meridionali questa percentuale aumenta sensibilmente, superando il 25%. Il motivo non è certamente misterioso: le regioni meridionali sono quelle dove la carenza di servizi pubblici legati alla cura domestica pesa come un macigno sulle prospettive di vita e di carriera professionale delle donne.

 

La cessione di competenze dallo Stato centrale alle Regioni che ne fanno richiesta rischia di incidere in maniera negativa sull’universalità dei diritti e dei servizi legati al rispetto della parità di genere, in particolare se l’autonomia riguarda le materia della sanità e del lavoro. La nostra Costituzione riconosce una strettissima correlazione e interdipendenza tra la dimensione sociale e quella del diritto alla salute, correlazione che si estende fino alla libertà soggettiva dell’individuo di disporre autonomamente del proprio corpo. L’assicurazione e la garanzia del rispetto di questi diritti e dei servizi ad essi legati le fornisce l’inderogabile funzione perequativa dello Stato centrale. Nella materia della sanità rientra, tra le altre, la questione dell’uguaglianza di genere, e quindi della tutela della salute e del benessere psico-fisico della donna, della parità di trattamento in campo occupazionale e retributivo, oltre che dell’uso e dell’accesso inclusivo ai servizi pubblici. La pericolosità degli effetti della legge Calderoli è già ampiamente visibile nella disparità tra la legislazione nazionale e quella regionale in tema di sicurezza urbana legata alle politiche di genere, in particolare a quelle riferite al contrasto della violenza fisica e mentale sulle donne. Le normative regionali, ad esempio, già ora mostrano differenze di interpretazione e, quindi, di azione efficace rispetto alla correlazione tra la sicurezza urbana e l’inclusione di genere. Un primo scarto, ad esempio, si registra già nella legge regionale piemontese, sulla sicurezza integrata alle donne, sole o con minori, che vivono in condizioni di disagio e/o subiscono violenza, rispetto alle quali le politiche di sicurezza urbana contemplano l’attivazione di misure a sostegno, e leggi regionali come quella campana che si limitano a circoscrivere aspetti di esclusione e di marginalità sociale, senza fare esplicitamente riferimento ai contesti di violenza di genere e quindi ad operare un approccio di genere al tema della sicurezza urbana. Se già prima dell’autonomia differenziata la correlazione tra sicurezza urbana e (dis)uguaglianze di genere non è normata orizzontalmente da tutte le regioni, va da sé che in uno scenario nel quale la spesa pubblica delle Regioni è livellata dalla spesa storica, con l’alto rischio che le regioni che, da sole (Emilia Romagna, Veneto e Lombardia), producono la metà del PIL italiano sottraggano una quota consistente dei tributi statali alle altre, il divario normativo e di efficacia della Pubblica Amministrazione sulle questioni di genere è destinato ad ampliarsi e a creare cittadine di serie A e cittadine di serie B.

 

La cessione di competenze sulla sanità alle regioni e, quindi, la possibilità che le regioni legiferino da sole su quella materia, apre una voragine anche nel diritto all’interruzione di gravidanza. La percentuale di medici obiettori nelle regioni meridionali raggiunge punte dell’85%. La 194 al Sud è già carta straccia, anche per l’inadeguatezza delle retribuzioni e della presenza di personale medico specializzato nel settore e la quasi totale inapplicazione, da parte delle regioni, delle linee guida sulla RU486. Il turismo sanitario dalle regioni meridionali a quelle settentrionali è destinato ad aumentare e a subire, per quanto riguarda queste ultime, il rischio dell’accesso al servizio privatizzato.

 

Si tratta di tendenze destinate a pesare sulla finanza pubblica e sulla sostenibilità del sistema nazionale di assistenza, in un Paese, l’Italia, nel quale i servizi di welfare si reggono sulla compartecipazione dei regimi misti di assistenza familiare ai piani regionali, laddove la componente femminile della popolazione attiva che svolge lavoro di cura non retribuito e sommerso è penalizzata anche sul piano del lavoro e dell’autonomia professionale nella sfera privata e pubblica. L’autonomia differenziata non risolve, anzi peggiora, il rischio di instabilità occupazionale e salariale per le donne, in generale quelle appartenenti alle fasce sociali subalterne e medio-basse, e ancora più in particolare per quelle collocate geograficamente nelle regioni meridionali. Culturalmente e politicamente complesso da affrontare, il fenomeno della violenza e delle disuguaglianze di genere, che rientra nella sfera multipla delle competenze trasferite alle regioni sulla tutela della salute, tutela del lavoro, governo del territorio, riserva il rischio di un inasprimento delle condizioni materiali di vita del genere femminile a causa della vulnerabilità ambientale e della diseguale distribuzione di risorse, diritti e potere. In altre parole, l’autonomia differenziata incrementa l’incidenza di fenomeni strutturali legati al patriarcato e alla mercificazione del lavoro di riproduzione e di cura.

 

La legge Calderoli è un vaso di Pandora pronto a esplodere, con tutto il carico di iniquità e ingiustizie sociali, culturali, economiche, politiche e amministrative. Il bivio è questo: o accettiamo la costituzionalizzazione delle diseguaglianze o lottiamo per abbattere questo mostro giuridico che è la tomba della nostra Costituzione.

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