Le challenge, non coraggio, ma rischio

 

di Gabriella Notorio

Le social challenge sono ormai pratiche così diffuse tra i giovanissimi da coinvolgere in maniera decisamente preoccupante anche bambine e i bambini al di sotto dei 10 anni, dunque non soltanto gli adolescenti. Occorre fare chiarezza sul fenomeno per poter capire bene i rischi e i pericoli in cui bambini e ragazzi si imbattono ogni giorno, affascinati dall’idea di vincere in pubblico con successo diffuso.

Le challenge sono infatti delle sfide che spingono chi accetta di parteciparvi a superare delle prove, superando i propri limiti fisici nel confronto con gli altri.

Le challenge hanno successo perché, proprio attraverso queste prove e sfide, si crede erroneamente di elevare la propria personalità in maniera coraggiosa, ottenendo approvazione e consenso sociale. Ogni sfida viene registrata online o quasi sempre in diretta e poi diffusa con immediatezza nei vari social, divenendo virale, in quanto facilmente condivisibile.

L’effetto emulazione è altissimo perché a catena le challenge vengono ripetute.

Tra le più pericolose in assoluto si possono elencare il BlackOut Challenge e Hanging Challenge, in cui si prevede che il partecipante debba stringere al proprio collo una cintura e resistere il più possibile.

Il Binge Drinking ovvero l’assunzione di bevande alcooliche e superalcoliche in cui vince chi ne beve di più in un intervallo di tempo più o meno breve. Un esempio è il Neknominate, una sfida di bevute online in cui i partecipanti si filmano mentre bevono una pinta di birra in un solo sorso e dopo aver filmato tutto nominano un’altra persona, la quale dovrà ripetere il gioco aumentando le dosi nelle successive 24 ore. Questa sfida è molto pericolosa poiché è in grado di arrecare danni cerebrali, epatici, di memoria e di intossicazione grave con morte.

In Italia poi è arrivato direttamente dagli Stati Uniti lo “sgambetto spaccatesta” , uno sgambetto a mò di “scherzo” che ha come intento far cadere a terra la vittima scelta a caso, facendole battere il capo a terra, come per lo Skullbreaker Challenge.

Di pochi giorni in Italia è la notizia riguardante una giovane ragazza di 14 anni rimasta incinta dopo aver partecipato alla challenge ‘Sex roulette’, in cui la sfida consiste nell’avere rapporti sessuali con più persone sconosciute senza protezione. Perde chi resta incinta.

 

Preoccupazioni e conseguenze.

 

Cosa preoccupa più di tutto? Sicuramente il rischio sulla vita e la salute di questi bambini e ragazzi che appaiono privi di consapevolezza e di controllo emotivo, spaventati dall’aver perso la sfida e non da ciò che potrebbe accadere loro a livello fisico e mentale.

La scarsa percezione delle conseguenze negative, delle azioni dannose realmente perpetuate restituisce la misura della difficile capacità ed abilità nello stimare e valutare le proprie responsabilità, sicuramente agevolato dalla giovane età . Tutto ciò, associato a poche competenze digitali, rende bambini ed adolescenti estremamente vulnerabili a qualunque tipo di pericolo. Inoltre, partecipare ad una challenge e fallire aumenta la percezione di inadeguatezza, bassa autostima e rischio di isolamento sociale.

L’iscrizione ai social network dovrebbe avvenire solo dopo i 13 anni di età e con la supervisione ed il consenso dei genitori, mantenendo un controllo attento e monitorato sulla cronologia delle attività online dei figli, il cosiddetto “controllo parentale”.

La comunità educante non può tirarsi indietro forse nell’unica vera sfida seria ed importante: prevenire ed educare. Nei quartieri, nelle periferie, nelle città abbiamo bisogno di veri luoghi di aggregazione in cui si possano realizzare attività sociali, culturali e sportive, svolte da associazioni, istituzioni ed organizzazioni non governative, con il coinvolgimento dei ragazzi e delle loro famiglie. E poi c’è la scuola, l’agenzia di socializzazione più importante dopo la famiglia.

 

Autonomia differenziata e cambiamenti nel mondo della scuola

 

L’autonomia differenziata inciderà sicuramente sulla scuola italiana dal momento che lo Stato riconoscerebbe alle Regioni a Statuto Ordinario un’autonomia legislativa su materie attualmente di competenza concorrente, cioè gestite in comune, come per l’appunto accade in materia di istruzione e scuola. Potremmo assistere a situazioni in cui alcune regioni decidano di assumere insegnanti, con una potestà legislativa rispetto ad esempio ai criteri di valutazione oppure ai programmi scolastici. Senza pensare alla questione dei LEP (Livelli essenziali di prestazioni) che dovranno essere garantiti in modo uniforme a tutti i cittadini, al di là della Regione di residenza. I LEP però non sono stati mai definiti e da sempre hanno determinato forti divari tra Nord e Sud. Immaginiamo cosa accadrebbe con la riforma dell’Autonomia Differenziata. Si prospetta una significativa riduzione del budget annuale della maggioranza delle regioni, con una minore qualità dell’offerta formativa ed una conseguente disparità tra le scuole del Nord e quelle Sud. È a rischio il sistema educativo nazionale, che diverrebbe frammentato con problemi di accessibilità ed inclusività dell’istruzione. Le scuole private e paritarie potrebbero, a seconda della richiesta della propria regione, ottenere finanziamenti e risorse maggiori, a scapito delle scuole pubbliche.

E allora, che fine farà la scuola italiana? La scuola del mezzogiorno? Che fine faranno i nostri bambini e i giovani in una situazione di gap e discriminazione ancora più esacerbati da tale riforma?

 

 

 

 

 

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