L’Europa in regime di guerra e le contraddizioni del “campo largo”

di Fabio Carbone

Il Parlamento europeo ha approvato, pochi giorni fa, una risoluzione non vincolante che prevede la possibilità per l’Ucraina di utilizzare le armi fornite dall’Unione Europea contro la Russia. I voti favorevoli sono stati 425, gli astenuti 63, i contrari 131. La risoluzione 2024/2799 – RSP) segue quella del 17 luglio 2024 (2024/2721 – RSP) in continuità con la volontà dell’UE di fornire incondizionatamente sostegno all’Ucraina. Ho già fatto cenno in un precedente contributo (https://www.sinistraemezzogiorno.it/1713-2/) all’ambiguità e alla pericolosità con cui l’Unione Europea sta gestendo la situazione geopolitica internazionale e in particolare il conflitto russo-ucraino. La risoluzione di luglio menzionava il sostegno all’Ucraina come precondizione necessaria per arrivare, cito testualmente, “alla vittoria” contro Putin e la Russia. Le parole sono pietre, diceva Carlo Levi. E quella che la principale istituzione comunitaria internazionale sta scagliando sull’ordine geopolitico internazionale con una noncuranza imbarazzante non è una pietra, ma un macigno. Nella risoluzione di luglio, approvata a margine della riconferma di Ursula von der Leyen, la prima tifosa della guerra come unico orizzonte politico per pacificare le controversie, alla Presidenza della Commissione europea, il Parlamento europeo ribadiva la sua posizione secondo cui l’Ucraina è su un percorso irreversibile verso l’adesione alla NATO, chiedendo agli Stati membri di aumentare il loro sostegno militare all’Ucraina per tutto il tempo necessario e in qualsiasi forma necessaria.

 

La risoluzione approvata pochi giorni fa compie un passo in avanti nell’inasprire la crisi dell’assetto globale e ha scoperto le contraddizioni delle alleanze e delle coalizioni non solo nell’Unione Europea ma anche nei singoli Stati membri. Il punto di non ritorno, l’ennesimo, è il punto n. 8 della risoluzione, che “invita gli Stati membri a revocare immediatamente le restrizioni all’uso dei sistemi d’arma occidentali forniti all’Ucraina contro legittimi obiettivi militari sul territorio russo, in quanto ciò ostacola la capacità dell’Ucraina di esercitare pienamente il suo diritto all’autodifesa ai sensi del diritto internazionale pubblico e lascia l’Ucraina esposta ad attacchi contro la sua popolazione e le sue infrastrutture”. Tradotto: non solo l’Unione Europea deve continuare a fornire armi all’Ucraina, ma da questo momento in poi autorizza l’utilizzo di quelle armi non più solo per la difesa in territorio ucraino ma per l’offensiva in territorio russo. Senza mezzi termini, il punto n. 8 della risoluzione 2024/2799 ufficializza la dichiarazione di guerra dell’Unione Europea alla Russia. La strada che la classe dirigente europea intende percorrere è quella di un regime di guerra puro, come suggerisce anche il Rapporto presentato da Mario Draghi alla Commissione Europea due settimane fa: un concentrato di politiche neoliberali che suggerisce la totale disponibilità delle risorse finanziarie dell’Unione Europea all’industria militare come volano per la crescita europea nella competizione con gli altri attori globali, a partire da Cina e Stati Uniti.

 

Mettiamo per un attimo da parte il fatto che, ancora una volta, l’Unione Europea si dimostra incapace di costruire qualsiasi iniziativa diplomatica in luogo della soluzione militare e continua ad essere il paravento della NATO e degli Stati Uniti nella degenerazione del conflitto tra due Paesi in conflitto globale. Il dato più grave e allarmante che proviene dal voto al punto n. 8 sono le posizioni contrastanti e contraddittorie dei deputati italiani che afferiscono ai partiti del cd. “campo largo”. Sul punto n. 8 (cioè, ribadiamo, sull’autorizzazione ad usare le armi occidentali anche per le offensive in territorio russo), i voti favorevoli sono stati 377, gli astenuti 51, i contrari 191. Nel dettaglio, i deputati del Partito Democratico nel gruppo S&D hanno votato così: 2 a favore (Picierno e Gualmini), 9 contro e 1 astenuta (Annunziata), quadro che mostra l’evidente e sempreverde contraddizione degli organismi del PD tra una Segreteria che indica il voto contrario e un corpo rappresentativo eletto che agisce non compatto; i deputati del M5S e di Alleanza Verdi e Sinistra nel gruppo The Left hanno votato tutti contro. Il voto sul punto n. 8 ha fatto emergere le differenze, parzialmente già conosciute, anche all’interno degli stessi gruppi del Parlamento europeo: nessun gruppo ha votato unanime ma si sono registrate divisioni anche all’interno della Sinistra (con i deputati Andersson, Clausen, Gedin, Kyllönen, Rackete, Saramo e Sjösted che hanno votato a favore) e dei Verdi (i deputati italiani Marino, Orlando e Scuderi hanno votato contro a differenza della maggioranza del gruppo Verdi europei, a trazione tedesca, favorevoli).

 

L’incongruenza è continuata nella votazione della versione definitiva della risoluzione: tutti i deputati europei del PD hanno votato a favore del testo finale (che include anche il punto n. 8, votato favorevolmente a maggioranza del Parlamento), tranne Tarquinio e Strada che si sono astenuti, mentre si sono mantenuti i voti contrati dei deputati europei del M5S e di AVS. In sostanza, i deputati italiani al Parlamento europeo hanno così votato sulla risoluzione finale: a favore Fratelli d’Italia, Forza Italia e Partito Democratico a favore; contrari Lega, Movimento 5 Stelle e Alleanza Verdi e Sinistra.

 

L’Unione Europea si dimostra puntualmente un mostro politico, amministrativo e giuridico senz’anima, incapace di imprimere una direzione politica estera che non impatti a gamba tesa sui suoi cittadini e testardamente incline a difendere l’ordine neoliberale e capitalista e a preferire l’industria bellica e gli interessi particolari alle necessità collettive di milioni di lavoratori e lavoratrici, cittadini e cittadine stritolati da una crisi economica perdurante e senza risorse dedicate ai settori più cruciali della vita umana: sanità, istruzione, lavoro, previdenza sociale. Ma il voto sulle armi all’Ucraina disvela l’ennesima contraddizione che insiste in Italia sulle alleanze a sinistra dello spettro politico. Quale campo largo è mai possibile con chi a Strasburgo vota a favore del bombardamento occidentale sulla Russia? Quale alleanza può mai essere possibile con chi fomenta, arma e finanzia una guerra che rischia di diventare globale e nucleare nel periodo storico più delicato e complesso della storia dell’umanità?

 

Credo che sia arrivato il momento in cui si smetta in questo Paese di parlare di alleanze, di campi, di contenitori. L’alternativa alla peggiore destra che questo Paese abbia conosciuto dalla Seconda Guerra Mondiale non si costruisce con posizionamenti strategici a seconda delle dichiarazioni di questo o di quello. Sarebbe ora che in questo Paese si parlasse di alleanze riprendendo le categorie socio-economiche e dismettendo le elucubrazioni sulle asimmetrie di potere. Affinché si delinei una alternativa sistemica e autentica è necessario avere il coraggio di posizionarsi identitariamente sulle contrapposizioni e sulle categorie che le interpretano, perché oggi le categorie della destra e della sinistra non bastano più, evidentemente (e la risoluzione del Parlamento europeo lo dimostra) a interpretare lo stato di cose esistente: socialismo e keynesismo contro neoliberismo, internazionalismo contro globalismo, multipolarismo contro unipolarismo. Quale campo largo è possibile se non si pongono le basi strutturali della costruzione di un modello di sviluppo alternativo al capitalismo neoliberale che sta ammazzando il pianeta sotto ogni aspetto dello sviluppo economico, sociale, culturale, biologico? Quale campo largo è mai possibile costruire con chi appoggia l’eversivo progetto di radicare il ruolo dell’Unione Europea nella militarizzazione e nella contrapposizione alla Russia come pilastri centrali del proprio sviluppo? Quale campo largo, soprattutto, è mai possibile costruire se da una parte ci si pone la questione di come rendere i partiti nuovamente capaci di interpretare e trasformare le istanze sociali e dall’altra si insiste in una visione di società elitista e concorrenziale con i partiti che si fanno istituzioni e assumono la funzione di cane da guardia del profitto e del capitale?

 

Costruire una alternativa a sinistra significa credere nella ricerca della giustizia e della sicurezza sociale, edificare una resistenza teorica e politica contro l’egemonia delle classi sociali ricche e impegnarsi a perseguire l’obiettivo di proteggere le fasce sociali disagiate e fragili dalla povertà, dall’umiliazione e dallo sfruttamento. Costruire una alternativa di sinistra significa contrapporre al liberismo economico e allo smantellamento dello Stato sociale un modello di sviluppo che contrasti le diseguaglianze e rimetta al centro del discorso le priorità strutturali delle questioni globali del nostro tempo: crisi climatica, ampliamento dei diritti civili e sociali, redistribuzione della ricchezza e riequilibrio dei rapporti di forza nel conflitto capitale-lavoro.

 

Ricercare direzioni diverse da queste o rimediare “ricette” economiche e politiche in palese contraddizione con questi temi non apporta nessun contributo al progetto di una sinistra che torni al governo in Italia e imponga un cambio di tendenza a livello globale.

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