Recuperare il conflitto sociale, contro la retorica del potere

 

di Fabio Carbone

Giorgia Meloni, intervenuta al congresso della Cisl, il sindacato dei padroni più filogovernativo della storia sindacale, ha definito “tossico” il conflitto sociale.

 

Un Presidente del Consiglio che definisce “tossico” il conflitto sociale dimostra non solo una pericolosa incomprensione della dinamica democratica, ma va contro la stessa Costituzione, esibendo una volontà repressiva che tradisce i principi fondamentali della nostra Costituzione. Il conflitto sociale, lungi dall’essere un elemento nocivo, è il motore del progresso in ogni società democratica, uno strumento di trasformazione che consente ai cittadini di rivendicare diritti, migliorare le proprie condizioni di vita e riequilibrare rapporti di forza altrimenti ingiusti.

 

La nostra Costituzione, quella Costituzione nata sulle ceneri del fascismo che per vent’anni cancellò la “tossica visione conflittuale”, riconosce e tutela il conflitto sociale come mezzo di partecipazione e di avanzamento civile. L’articolo 3, nella sua seconda parte, afferma che è compito della Repubblica “rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.” Questo implica che il dissenso, la protesta e la mobilitazione collettiva non solo sono legittimi, ma costituiscono il vero strumento attraverso il quale le ingiustizie possono essere superate.

 

Inoltre, l’articolo 39 riconosce il diritto dei lavoratori di organizzarsi in sindacati, e l’articolo 40 sancisce il diritto di sciopero, strumenti chiave del conflitto sociale che hanno portato a conquiste fondamentali come la riduzione dell’orario di lavoro, la sicurezza sul lavoro, il diritto alla sanità e all’istruzione pubblica. Criminalizzare il conflitto sociale significa minare questi diritti fondamentali e tentare di spegnere ogni possibilità di cambiamento dal basso.

 

Definire il conflitto sociale “tossico” è un atto grave, perché implica l’idea che il consenso sia l’unica forma accettabile di partecipazione, riducendo la democrazia a un simulacro vuoto, incapace di assorbire e risolvere le tensioni attraverso il confronto. Senza conflitto sociale, la società diventa statica, bloccata nelle disuguaglianze e dominata da chi detiene il potere economico e politico senza alcun contrappeso popolare.

 

Il tentativo di depoliticizzare il conflitto tra capitale e lavoro è lo storico obiettivo del capitalismo: i lavoratori devono diventare semplici ingranaggi nel sistema produttivo, astenendosi dal rivendicare qualsiasi cosa sia in contrasto con le leggi del mercato.

 

Il Presidente del Consiglio non teme il conflitto sociale, lo disprezza, come disprezza anche il concetto stesso di democrazia, quotidianamente vilipeso dalle prove di forza muscolari che questa destra esibisce sulle classi sociali subalterne. Ma è proprio attraverso il dissenso organizzato, le lotte sindacali, i movimenti per i diritti che la Repubblica ha costruito il suo progresso. Ma senza conflitto sociale, chi dovrebbe rimuovere gli ostacoli al progresso?

 

Senza conflitto non c’è progresso, e senza progresso si resta schiacciati dalle diseguaglianze. Ed la cifra dei tempi che una platea sindacale applauda a piene mani chi sta dicendo che, sostanzialmente, il sindacato non ha motivo di esistere.

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