
di Tonino Scala
Segretario regionale Sinistra Italiana Campania
Un altro schiaffo in pieno volto alla città e al suo paesaggio. Ancora cemento, ancora speculazione, ancora una visione miope dello sviluppo. Napoli non ha bisogno di nuove colate di calcestruzzo, ha bisogno di recuperare, valorizzare e rigenerare l’esistente. Questo progetto non è un faro, è solo l’ennesima ombra che si allunga su una città che ha già pagato un prezzo altissimo in termini di consumo di suolo e deturpazione del paesaggio.
Basta guardarlo per rendersi conto della violenza visiva che impone. Due torri colossali, sproporzionate, che si innalzano come un pugno nell’occhio contro il profilo del Vesuvio, oscurandolo. Un’opera mastodontica che non dialoga con il contesto urbano ma lo sovrasta con arroganza, imponendosi come simbolo di una megalomania senza freni. Più che un’architettura innovativa, sembra una dichiarazione di guerra alla città e alla sua identità.
La rigenerazione urbana è un concetto serio, complesso, che presuppone il consumo zero di nuovo suolo e la riqualificazione degli spazi abbandonati. Qui, invece, assistiamo all’ennesimo scempio, un’opera che ricorda tristemente la vicenda Crescente: invasiva, impattante, lontana dalle reali esigenze del territorio. Ma davvero Napoli ha bisogno di un mostro di vetro e cemento che copre la visuale del Vesuvio e soffoca il respiro stesso della città?
Nel cuore dell’Europa non esiste un’opera di queste dimensioni, con questi costi e questa pretesa di monumentalità, come ha sottolineato anche il presidente della Regione Campania, Vincenzo De Luca. E forse un motivo c’è. Le città moderne non si trasformano attraverso la cementificazione selvaggia, ma attraverso interventi mirati, rispettosi del tessuto urbano e dell’identità storica.
Il problema di Napoli non è la mancanza di grandi strutture, ma la desertificazione industriale che ha svuotato interi quartieri, il degrado dei centri storici ridotti a vetrine per turisti, l’assenza di un vero piano di sviluppo sostenibile. Questo non è recupero. Questo non è progresso. Si potrebbero riqualificare le aree dismesse, recuperare edifici abbandonati, creare spazi verdi e servizi per i cittadini. Si potrebbero valorizzare le periferie, restituendo dignità a chi le abita, anziché costruire un monumento all’ego e alla speculazione.
Modificare una città non significa devastarla con opere inutili. Si può e si deve riqualificare senza impattare, senza cancellare la storia e senza calpestare il paesaggio. In una regione dove i trasporti sono un miraggio, la sanità è al collasso e i servizi essenziali sono carenti, questa operazione non è solo uno schiaffo alla città, è un insulto all’intelligenza dei cittadini.
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