di Sirio Conte
La riunione del Consiglio Europeo non è stata risolutiva. Certamente ha ragione Conte ad essere contento se si guarda all’assunzione, da parte del Consiglio dei Capi di Stato, della necessità di un Recovery Fund garantito dal bilancio UE. Ma se si guarda alla portata della crisi scatenata da questa pandemia e alla urgenza di misure tempestive che in qualche modo possano paragonarsi a quelle prese da Cina, USA, Regno Unito ed altri paesi, allora si comprende che siamo in grande ritardo. Un ritardo che è non solo frutto di insipienza, ma una precisa scelta politica da parte dei governi dell’Europa Settentrionale che, non avendo difficoltà immediate paragonabili a quelle dei paesi meridionali, puntano a far slittare quanto più possibile le decisioni in modo di avere un potere contrattuale via via più forte. Perciò si esce dall’incontro con un mandato alla Presidente von der Leyen che dovrà predisporre le linee su cui si dovrà incardinare il Fondo. Lo scontro quindi è ancora aperto sia su quanta parte sarà distribuita come prestito e quanta come contributo diretto, sia sui tempi di erogazione che nei fatti rischiano di slittare all’anno prossimo. Allo stato quindi abbiamo soltanto gli oltre 500 milioni di euro tra gli investimenti della BEI, il piano SURE per gli ammortizzatori sociali e l’intervento del MES a copertura di spese sanitarie dirette ed indirette. Su quest’ultimo punto la discussione è ancora aperta visto che occorrerà approntare un Memorandum che ne definisca modalità e soprattutto gli strumenti di superamento delle condizionalità che sono alla base di questo meccanismo. Per questo occorre un salto di qualità della politica europea con un più forte protagonismo dello stesso parlamento che non può, nel quadro della più grave crisi economica vissuta dal nostro continente dalla nascita delle istituzioni comunitarie, essere relegato ad un ruolo di spettatore. Su questo occorre che le famiglie politiche europee si esprimano con chiarezza ed in particolare quelle democratiche e progressiste. Lo stesso fronte tra Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Grecia ed altri paesi dovrà compattarsi ed evitare fughe alla spicciolata che possono portare unicamente verso la sconfitta dell’idea di una Europa forte e solidale. Ed appunto forte perché solidale. Ma l’Italia dovrà prepararsi ad ogni esito possibile ed iniziando anche a predisporre iniziative che scontino l’inadeguatezza della risposta europea. E quindi a reperire ed utilizzare risorse proprie. Del resto proprio nella stessa giornata della riunione del Consiglio UE, il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha pubblicato i dati sul reddito complessivo totale dichiarato dagli italiani nel 2018. È la fotografia di un paese, con un reddito complessivo totale dichiarato pari a circa 880 miliardi di euro, dove I contribuenti che di fatto non pagano le tasse sono 12,6 milioni, il reddito del lavoratore autonomo è oltre il doppio di quello da dipendente e continua a esserci un importante divario tra il guadagno medio nelle Regioni del Nord Italia e quelle del Mezzogiorno. A questi dati occorre aggiungere quello del debito pubblico che ammonta grossomodo a 2.400 miliardi di euro ed un patrimonio privato (tra beni immobili e finanziari) che ammonta a circa 10.000 miliardi. È chiaro quindi che diventa in ogni caso ineludibile il tema di un prelievo straordinario sulle ricchezze che può non solo consentire di aiutare subito il sistema delle imprese ad affrontare questa crisi, ma anche a determinare un investimento sullo sviluppo complessivo del nostro paese sia in termini di rafforzamento dello stato sociale (e si è visto drammaticamente il costo umano ed economico dello smantella mento della sanità pubblica), sia in termini di razionalizzazione ed efficienza delle performances pubbliche, sia in termini di innovazione con particolare attenzione all’impatto ambientale. Ma soprattutto la messa in campo di risorse proprie darebbe l nostro paese una forza contrattuale che al momento non abbiamo. Nel suo discorso al Consiglio, Angela Merkel ha sottolineato la necessità di armonizzare le politiche fiscali. Il riferimento era sia ai paesi che utilizzano politiche di dumping fiscali minando la coesione comunitaria, ma anche a quei paesi che non hanno la volontà di lottare adeguatamente contro l’evasione fiscale. Ecco, il modo migliore per rispondere sarebbe varare un piano ambizioso e lungimirante che della giustizia fiscale fa l’asse fondamentale per la ripresa. Nel corso degli ultimi decenni a più riprese si sono chiesti sacrifici ai lavoratori, ai pensionati, ai giovani, in termini di riduzione delle retribuzioni e delle pensioni, dell’innalzamento dell’età pensionabile, della rinuncia a fondamentali diritti di tutela del lavoro e di ulteriore precarizzazione dello stesso. È giunto il tempo di ripagare questi sacrifici, e che chi più ha cominci a prendersi le proprie responsabilità.
Leave a Reply
Devi essere connesso per inviare un commento.