di Raffaele Scala
Il principio delle tre otto prevede che otto ore siano destinate al lavoro, otto ore alla svago e all’istruzione e otto ore al sonno.
Premessa.
Quelli che seguono sono semplici appunti di un lavoro appena abbozzato, stralci rubati alle numerose ricerche effettuate negli anni, un puzzle composto alla meno peggio, ma sentivo la necessità di pubblicare qualcosa sulla Festa del I maggio, di dare un senso, al tempo del corona virus, a questa giornata un tempo così importante e ormai declassata a giorno di riposo, da trascorrere chiusi in casa, magari ad ascoltare musica, ovviamente leggera, scacciapensieri.
Così in fretta e furia ho provato a mettere insieme i primi maggio vissuti in una Città ex industriale, antica roccaforte rossa al punto da essere definita la Stalingrado del sud. Dai primordi al 1948. Ho provato poi a chiudere questa breve panoramica con delle riflessioni a caldo, non bene ponderate. Ho deciso di lasciarle così, in attesa di una seconda, magari terza stesura che il tempo, la voglia e lo studio mi consentiranno di meglio definire. Perciò chiedo venia delle eventuali inesattezze, imprecisioni e perfino di alcuni acidi commenti ai quali mi sono dedicato in chiusura di questa mia breve panoramica
La giornata internazionale per la riduzione dell’orario di lavoro
Il I maggio, quella che oggi conosciamo come festa dei lavoratori, nasce in realtà come giornata di mobilitazione per la conquista delle otto ore lavorative in un tempo in cui si era costretti a lavorare almeno 12/14 ore al giorno, con punte di sedici, per sei giorni alla settimana e spesso impiegati anche la mattinata della domenica per la manutenzione degli impianti. Erano tempi in cui i diritti degli operai erano prossimi allo zero e perfino scioperare era considerato un reato da una legge matrigna che riconosceva esclusivamente i diritti dei padroni.
Ricordo brevemente che il primo tentativo di lanciare l’obiettivo delle otto ore fu fatto in Australia nel 1856, dedicando una giornata di lotta il 21 aprile di ogni anno, senza grande successo. Un secondo tentativo ci fu, dieci anni dopo, negli Stati Uniti, durante un congresso sindacale tenutosi a Baltimora nel 1866. La ricorrenza del primo maggio nasce nel novembre del 1884 quando il IV congresso dell’America Federation of Labor, svoltosi a Chicago votò la seguente risoluzione:
Otto ore costituiranno la durata legale della giornata di lavoro a partire dal 1° maggio 1886 e noi raccomandiamo alle organizzazioni sindacali di questo Paese di fare promulgare delle leggi conformi a questa risoluzione, a iniziare dalla data convenuta.[1]
Così, in base alle decisioni assunte nel 1884, il 1° maggio 1886 fu indetto uno sciopero generale che vide la partecipazione di 340mila lavoratori delle maggiori città americane, provocando la reazione della polizia. Questa non esitò a caricare i manifestanti di una fabbrica di Chicago, sparando ad altezza d’uomo, uccidendo sei persone e ferendone una cinquantina. La manifestazione di protesta contro la violenza inaudita della polizia, con oltre 15mila partecipanti si svolse senza problemi, quando verso la sua conclusione fu esplosa una bomba nel punto in cui stazionavano alcuni reparti di polizia uccidendo due agenti. A loro volta i poliziotti iniziarono a sparare contro la folla provocando cinquanta feriti. L’indagine, pilotata a senso unico, portò all’arresto di otto anarchici, tutti dirigenti sindacali, con sette condanne a morte, di cui quattro eseguite. Sei anni dopo i tre superstiti, a seguito della revisione del processo, furono liberati
Nel frattempo anche in alcuni paesi europei l’obiettivo delle otto ore veniva posto al centro delle rivendicazioni operaie, divenendo piattaforma di lotta nel corso del convegno convocato a Parigi dalle diverse organizzazioni socialiste e dal quale nacque la Seconda Internazionale nel luglio 1889, in occasione del centenario della presa della Bastiglia. La I Internazionale sorta nel 1864 si era sciolta nel 1876 per gli insuperabili problemi organizzativi e per il feroce scontro ideologico con anarchici e repubblicani. Per l’Italia vi parteciparono Andrea Costa, Giuseppe Croce ed altri, nessuno del Mezzogiorno d’Italia. Nell’ultima giornata dei lavori, il 20 luglio, fu deciso, in concomitanza con quanto già proclamato dai sindacati americani, di tenere il 1° maggio 1890 una grande manifestazione internazionale a sostegno della lotta per le otto ore, una giornata che doveva ripetersi ogni anno fino alla conquista di quel sacrosanto diritto alle cosiddette tre otto.
Nasceva in quel modo il 1° maggio, un giorno indimenticabile nella storia del Movimento Operaio di tutto il mondo, un giorno di lotta, di riflessione, ma troppo spesso bagnato del sangue operaio provocato dalle cariche feroci delle forze dell’ordine, lasciando quasi sempre sul terreno morti e feriti. Basti ricordare gli 82 morti e 450 feriti di Milano del 1898, addirittura presi a cannonate dal famigerato Generale Fiorenzo Bava Beccaris, oppure quella non meno feroce di Portella della Ginestra in Sicilia nel 1947, con undici morti, la prima delle tante stragi proletarie compiute in epoca repubblicana e finanche il primo dei tanti oscuri delitti di Stato. E quando tutto andava bene non mancavano mai le provocazioni, i fermi di polizia, gli arresti sproporzionati e le condanne al carcere di militanti e dirigenti maggiormente esposti.
Napoli fu presente a questo primo appuntamento, nonostante non avesse una classe operaia organizzata, tranne sparute organizzazioni locali incapaci di incidere sul tessuto sociale ed economico. Naturalmente finita con arresti e feriti di operai e studenti. Una statistica industriale del 1888 contava, a livello provinciale, un totale di 49.592 addetti nell’industria, di cui poco meno di 30mila erano occupati nel solo capoluogo partenopeo.
Castellammare di Stabia e la Festa del I maggio. 1891 – 1948
Castellammare, inutile dirlo, fu assente a questo primo tentativo di manifestare per i propri diritti. Le uniche associazioni operaie presenti erano Società di Mutuo Soccorso completamente asservite al padronato, se non create appositamente per tenerli a freno e controllarli elargendo denaro per i vari scopi mutualistici, quali malattia, infortuni o funerali e poco altro. Non a caso un anonimo cronista del giornale locale, Stabia, probabilmente lo stesso direttore, Federico Ciampitti, poteva scrivere sul suo giornale, nel numero 28 del 3-4 maggio 1890:
Il primo maggio fra noi è passato oltremodo tranquillo senza neppure un’ombra di tumulto od apprensione, grazie alla docilità di questi operai, i quali non pensano che a farsi onore con assiduo e diligente lavoro, specie quelli del Regio Cantiere.
Ci provò uno sparuto gruppo, probabilmente aderenti al Circolo repubblicano della Gioventù democratica, Mauro Macchi, nel 1891 o forse isolati socialisti, limitandosi ad attaccare manifesti sui muri della città e delle fabbriche, invitando i lavoratori ad organizzarsi e a manifestare in quel giorno dedicato ad una primaria conquista di civiltà. Di questi primi eroi la storia ci ha lasciato il nome di Franco Rodoero (1875 – 1965), all’epoca dei fatti appena sedicenne, Catello De Crescenzo. Di questo nucleo dovevano sicuramente fare parte altri due giovanissimi protagonisti del socialismo stabiese, Catello Langella e Raffaele Gaeta, all’epoca ancora repubblicani. Infatti li troviamo tra i soci del nuovo circolo repubblicano, Aurelio Saffi, subentrato a quello vecchio della Gioventù democratica chiuso dalle autorità e sorto nei primi mesi del 1892.
Nell’imminenza della nuova festa del lavoro, furono tra i protagonisti della pubblicazione curata dal nucleo repubblicano di un numero unico in occasione del 1° maggio 1892 con scritti dei due stabiesi, Catello Langella (1871 – 1947) e Raffaele Gaeta (1961 – 1944) e dell’avvocato di San Giuseppe Vesuviano, Angelo D’Ambrosio. Ancora una volta la giornata trascorse nella più assoluta tranquillità, forse perché era domenica ma più concretamente per l’assenza di un qualsiasi movimento in grado di scuotere dal proprio torpore una classe operaia sostanzialmente apolitica, fedele alla monarchia e all’ordine costituzionale. In mancanza di meglio, quindi, i militanti del circolo repubblicano ritennero sufficiente festeggiare quella memoranda data riunendosi nella loro sede e brindando alla salute degli operai mentre un tempo piovoso chiudeva la giornata.[2]
Trascorrono alcuni anni di quiete assoluta, immaginiamo che le giornate del primo maggio siano trascorse, come capitava un poco dappertutto, festeggiando nelle osterie cittadine con una bicchierata e innocui canti rivoluzionari. Naturalmente guardati a vista da qualche solerte gendarme che puntualmente annotava nomi e discorsi da riferire al sottoprefetto. Tutto questo fino al 1898, quando un gruppo radicale di repubblicani aveva nel frattempo lasciato l’antico circolo per fondare nel 1897 un nuovo nucleo socialista, un Circolo di Studi Sociali dietro cui si nascondeva l’embrione della prima sezione socialista. A capo di questo gruppo vi era, ancora una volta Catello Langella, già corrispondente locale del quotidiano socialista, l’Avanti! Al suo fianco Nicola Scognamiglio, Luigi Fusco, Vincenzo De Rosa, Salvatore Formicola e lo stesso, seppure ancora titubante, avvocato Raffaele Gaeta.
Per non essere di parte ci serviremo di una cronaca del Mattino per descrivere cosa accadde in quel 1° maggio 1898 a Castellammare di Stabia:
Se nuovi agenti di forza pubblica ed una compagnia del Regio Esercito non avessero onorato di una loro visita la nostra città, il 1° maggio a Castellammare sarebbe passato inosservato, anzi la giornata di ieri sarebbe stata da meno di altre domeniche. E quanto mai ci sono state dimostrazioni ostili alle istituzioni tra noi? Se togli qualche baccano senza la benché minima conseguenza triste in caso d’elezione politica, la storia di Castellammare non sa registrare altro.
Ieri in Piazza Municipio non c’erano che i soliti piccoli crocchi d’operai nei vestiti di festa e diversi cenciosi con le scodelle sotto il braccio aspettando la razione della cucina gratuita. Ai funzionari di servizio sembrò pericoloso tale assembramento e cominciarono a far sgombrare, a quelli che aspettavano la zuppa non piacque tale disposizione e levando in aria le scodelle, protestarono vivamente; uno scugnizzo gridando “rumpimme o caccaviello”, tirò un sasso, il caccaviello cadde in pezzi, tutti risero, gli scugnizzi fecero capriole e la scena tragico comica si chiuse con i regolamentari tre squilli di tromba e con la marcia in avanti della compagnia di soldati con le baionette in canna. Per un caccaviello!
Oltre questo grave incidente non c’è stato altro. Vedemmo diverse volte per la via l’egregio Sottoprefetto, cav. Taranto con l’infaticabile segretario, avv. Ortona, sorvegliare l’ordine pubbli[3]co; vedemmo i delegati di P.S. irrequieti correre di qua e di là prevenire qualsiasi assembramento in più di una persona sola e ci congratulammo con loro per la preveggenza e per i modi cortesissimi usati, ma non possiamo fare a meno di dire che ci fu somma esagerazione. La Giunta municipale ha stabilito una rivendita di pane di grano a 30 centesimi, comprando questo pane dai panettieri a 38 centesimi. E a che porta questo provvedimento? Può durare? Il bilancio comunale, che sebbene non ancora formato pur crediamo esausto, aggravato di oltre 7 o 8 mila lire, i panettieri faranno i loro comodi e fra pochi mesi un’altra voce daziaria si farà sentire pel pareggio.
E’ l’impianto del grande panificio che bisogna studiare. [4]
Se i fatti fossero andati così come li ha ricostruiti l’ineffabile cronista del Mattino non si spiega come mai, pochi giorni dopo, il gruppo socialista stabiese fu arrestato e condannato a sei mesi di carcere, tranne Langella che in quanto leader riconosciuto fu punito con un anno da scontare, come gli altri, nel penitenziario di Pozzuoli. A uscirne indenne fu il solo Gaeta, probabilmente non ancora coinvolto a pieno titolo nella nascente organizzazione socialista, mentre Franco Rodoero si diede latitante provando a fuggire in Francia, ma fermatosi a Genova vi trovò rifugio in attesa dell’amnistia.
Forti manifestazioni con tumulti e feriti vi furono a Gragnano e nella vicina Torre Annunziata, oltre che nel capoluogo campano e dappertutto ci furono arresti e condanne, con la chiusura di tutti i circoli socialisti e repubblicani.
Forgiata da questa dura prova la giovane generazione di socialisti stabiesi si ricompose fondando la prima sezione socialista il 19 luglio 1900, vincendo le elezioni amministrative nel 1906, riuscendo a costruire il primo centro sinistra a Castellammare con Raffaele Gaeta assessore, fino a edificare la Camera Confederale del Lavoro nell’ottobre 1907 con Catello Langella Segretario. Ma non è di questo che dobbiamo scrivere, velocemente quindi andiamo al primo maggio del 1910 quando una nuova generazione di socialisti si è fatta avanti sotto la saggia guida di Raffaele Gaeta, mentre l’altro leader dal 1907 si è trasferito in Australia, dove vive una delle sue sorelle.
Seguiamo la manifestazione tramite un articolo dell’Avanti!:
Al corteo hanno partecipato le organizzazioni politiche ed economiche di Castellammare di Stabia, Torre Annunziata e Gragnano. Il comizio che è riuscito affollatissimo si è tenuto nei giardini pubblici dove hanno parlato, inneggiando al suffragio universale, l’avvocato Angelo D’Ambrosio, l’avvocato Gino Alfani per la Camera del Lavoro di Torre Annunziata, l’avvocato Cirillo per la sezione repubblicana e il sindacalista Fiore per il gruppo autonomo di Napoli. (…) Nelle ore antimeridiane a Gragnano si è tenuto un imponente comizio e corteo. Hanno parlato l’avvocato D’Ambrosio e De Siena, sindacalista di Napoli.[5]
Nel 1911 la manifestazione fu anticipata a domenica 30 aprile. A tenere nella città stabiese i discorsi in occasione della festa del lavoro vennero Romolo Caggese e il Segretario della Borsa del Lavoro di Napoli, Oreste Gentile, un ex pastore protestante, ex anarchico ed ex orefice, noto massone e forte sostenitore dei blocchi elettorali con i partiti affini (repubblicani e radicali). Nell’occasione si inaugurava pure il nuovo vessillo della risorta Camera del Lavoro, rifondata nel 1910 con alla guida Catello D’Auria, presto sostituito da Alfonso D’Orsi, entrambi meno che ventenni.[6] Dopo il comizio, tenuto al teatro Savoia, gli operai stabiesi – un corteo interminabile al quale presero parte 19 bandiere”– con alla testa i due leaders socialisti napoletani, attraversarono le vie della città. In Piazza Orologio furono accolti dalle grida ostili dei giovani cattolici abbarbicati sul balcone della sede del circolo, G. Dèhcon. La situazione stava quasi degenerando in una rissa, non riuscendo i giovani socialisti a trattenersi dal reagire, tali e tanti furono gli insulti piovuti loro addosso. I più anziani dovettero faticare non poco per calmare l’irruenza giovanile dei loro compagni, sapendo come bastasse poco per provocare la reazione della pubblica sicurezza al loro seguito. Indifferenti alle provocazioni dei cattolici contro il corteo, le forze dell’ordine presenti, pubblica sicurezza e carabinieri, erano invece, normalmente, sempre solleciti quando si trattava di sciogliere comizi e manifestazioni operaie. Erano tempi quelli in cui la legge era chiaramente al servizio non dei cittadini ma del potere dominante. In particolare le forze dell’ordine, e non solo l’esercito, erano addestrate in difesa della proprietà, nella palese funzione anti operaia. Per questo facilmente dimenticavano, anzi, trovavano inopportuno intervenire quando in qualche modo erano chiamati a difendere pacifici corteo di lavoratori. [7]
Non meno imponente fu il corteo del 1° maggio 1912, con la sua banda musicale che suonava l’Inno dei lavoratori e quello di Garibaldi, mentre attraversava le vie della città, con il comizio finale del Segretario della Borsa del Lavoro, Oreste Gentile e degli altri oratori, inorgogliendo i socialisti stabiesi, illudendosi di essere finalmente riusciti a mettere in piedi un movimento operaio vero, in grado di affrontare le lotte politiche e sociali. Forse pensarono che la rinata Camera del Lavoro potesse essere finalmente un’istituzione riconosciuta, in grado di imporre la sua volontà, così come già accadeva da anni nella vicina Torre Annunziata. E quel folto pubblico così indignato contro le provocazioni venute da un gruppetto di nazionalisti, ubriachi di quel nuovo vento di destra, provocato dal contagio imperialistico evocato dal sognante maschio futurismo di Filippo Tommaso Marinetti (1876 – 1944), venuti improvvisamente a far tacitare con le loro urla l’oratore, al grido di Viva Tripoli! Viva il Re![8] non aveva forse qualcosa della grande epopea operaia? Intanto l’oratore, dal palco della Cassa Armonica, parlava con veemenza contro la guerra di Libia, contro i preti pronti a benedire la nuova guerra santa, contro i danni provocati da quel conflitto, inveendo contro quanti avevano salutato quella spedizione pensando ad una semplice passeggiata militare, senza colpo ferire – Ah quest’onnipresente mito della guerra lampo! – e già costato almeno 800 morti in quei primi sette mesi, inchiodando i nostri soldati in quella terra straniera chissà per quanto tempo ancora. Tutto questo non era forse il segno di una maturazione del popolo stabiese, sempre così indifferente alla politica in passato? E anche quella rissa improvvisa per allontanare i disturbatori, quel gruppetto di nazionalisti guerrafondai, primi prodromi di un fascismo portatore di tanti lutti e responsabile del fratricida bagno di sangue, non indicava che finalmente la politica, quella vera cominciava ad appassionare la classe operaia, rendendola sensibile alle questioni sociali? E poi quell’intervento brutale dei poliziotti, sempre pronti a sciogliere comizi indetti dai socialisti, anche quello dava il senso del momento importante che si andava vivendo. Ma non era così. [9]
Le cronache del 1914 ci comunicano che a tenere il comizio del 1° maggio 1914 fu il giovane professore stabiese, Catello Marano coadiuvato dal professor Giovanni Sanna e dall’avvocato Petti.
Dopo questa breve carrellata viaggiamo direttamente all’indomani del primo conflitto mondiale – seppure non mancarono comizi e manifestazioni, pur in tono minore durante il periodo bellico – quando con il ritorno dei militari dai fronti di guerra fu possibile nuovamente organizzare le manifestazioni del primo maggio, e Castellammare non poteva iniziare nel modo migliore. Nei primi giorni di aprile era stato congedato, tra gli altri, Antonio Cecchi, impetuoso socialista di sinistra, rivoluzionario di professione e amico di Bordiga, con il quale da tempo si programmava la costituzione del Partito Comunista. Ricostituita la Camera Confederale del Lavoro, si tuffò nella preparazione della Festa dei Lavoratori portando ad una mobilitazione popolare senza precedenti, riuscendo, per la prima volta, a coinvolgere l’intero mondo della scuola con una partecipazione di massa degli studenti. Il comizio si tenne in Piazza Orologio e oratori furono lo stesso Cecchi, nella sua nuova veste di Segretario Generale della Camera del Lavoro e Pietro Carrese in nome del Partito Socialista.[10]
Tra i primi atti del regime fascista, come è noto, ci fu l’abolizione del primo maggio sostituita dalla Festa del lavoro del 21 aprile, coincidente con il Natale di Roma, ciononostante Castellammare non si piegò supinamente, senza difendersi, utilizzando tutti gli strumenti disponibili per far sentire la propria voce, protestando, manifestando, ribellandosi, non a caso il 1° maggio 1924 centinaia di operai uscirono dalle fabbriche, riunendosi in corteo, decisi a festeggiare la Festa del Lavoro, pur sapendo che percorso qualche via del paese sarebbero stati affrontati da nuclei fascisti, provocando inevitabilmente degli incidenti.[11] Il primo maggio 1926 passò con un gruppo di militanti comunisti che stamparono clandestinamente dei volantini per diffonderli fuori delle fabbriche, facendo un passo indietro di quasi trentacinque anni, a quel mitico 1891 quando ci fu il primo timido tentativo di manifestare a favore della Festa dei Lavoratori. Ma stavolta il gesto costò caro a Federico D’Aniello, ammogliato con sei figli, operaio dei Cantieri metallurgici, perché a seguito di una perquisizione fu trovato in possesso di alcuni manifestini. Successive indagini portarono all’arresto degli altri distributori della cellula comunista guidata da Luigi Di Martino. Gli altri arrestati furono Enrico Giuseppe D’Aniello, Carmine Menduto e Vincenzo Ruocco. A Castellammare, come nel resto d’Italia la persecuzione colpiva inesorabilmente i lavoratori delle fabbriche simbolo della resistenza operaia, dai cantieri navali ai Cantieri metallurgici, con continue ispezioni negli stipetti degli spogliatoi, alla continua ricerca di documenti compromettenti. Nel Regio Cantiere i controlli erano effettuati con particolare accanimento da un maresciallo della benemerita, un tenente della Marina e un capo tecnico. Controlli e perquisizioni che diventavano frenetici e isterici alla vigilia di eventi di un certo rilievo come la soppressa festività del 1° maggio. A quel punto non bastava perquisire gli armadietti negli spogliatoi, ma si arrivava a far spogliare gli operai su cui si puntavano i maggiori sospetti. Ma tutto si rivelava inutile, così anche in quel 1926 la Festa del Lavoro fu salutata da, una ventina di fragorosissime bombe carta, per ricordare a tutti l’importanza di quella giornata per la classe operaia e il suo movimento sindacale e politico [12]
Un nuovo salto temporale ci porta alla fine del regime fascista, alle ritrovate libertà democratiche, alla nascita della Repubblica nata dalla Resistenza e alle ritrovate Feste del Lavoratori. Ne segnaliamo qualcuna a caso, magari quella del 1948, quando dopo la pesante sconfitta alle elezioni politiche del 18 aprile, la rossa Castellammare si consolò con un lungo corteo che percorse le principali vie della città accompagnato dal fuoco dei mortaretti in segno di festa, per concludersi in villa comunale di fronte alla Camera del Lavoro, dove prese la parola Raffaele Signorelli, Vice segretario provinciale della Fiom e futuro segretario della stessa Camera del Lavoro di Castellammare fra il 1950 e il 1954. La serata sarebbe continuata nei giardini comunali tra corse nel sacco e spettacoli di varietà con attori popolari come Vera Nandi, Fregolini ed altri. [13]
Fino agli anni Settanta, inizio Ottanta, la Festa dei Lavoratori è rimasta sostanzialmente una giornata partecipata da parte della classe operaia, poi lentamente qualcosa è cominciato a cambiare, lentamente. I processi di deindustrializzazione che hanno investito il nostro Paese, a partire dallo smantellamento dell’industria di Stato, la fine dei partiti storici, il consumismo sfrenato indotto dai programmi televisivi moltiplicati dal proliferare dei canali privati, hanno condizionato non poco usi, costumi, abitudini che in qualche modo, seppure apparentemente, hanno uniformato le diverse classi sociali, quasi mai in meglio. La scoperta della vacanze di massa, i fine settimana da trascorrere nella seconda casa, non più privilegio di pochi, o nelle città di mare, oppure celebri città d’arte, da Roma, a Firenze, fino a Venezia, insomma la società contemporanea è cambiata profondamente portando inevitabilmente alla fine di vecchi rituali. Non secondario anche la lenta trasformazione delle organizzazioni sindacali, sempre meno rappresentative degli interessi dei lavoratori che hanno portato alla disillusione di molti, all’allontanamento da strutture burocratizzate, centralizzate, a loro volta elitarie al punto da impedire un effettivo ricambio generazionale, sempre più chiuse in sé stesse, lontane dai luoghi di lavoro, dal territorio, rinchiuse nelle loro sedi. Perfino la Cgil e la stessa Fiom, seppure più tardi, con più sofferenza, tra mille convulsioni hanno cessato di essere luoghi di partecipazione collettiva, di discussioni, di decisioni da parte della base, sempre più luogo di comunicazioni di decisioni già prese al vertice. Non casualmente la maggior parte dei diritti conquistati negli anni Sessanta e Settanta sono andati irrimediabilmente perduti, da tempo immemorabile si contano i passi all’indietro giustificati dalla competitività sfrenata, della necessaria produttività e dai processi di globalizzazione. Il lavoratore non è più il centro dell’interesse del sindacato, ma il lavoro di per sé, la necessità di salvaguardare il profitto a discapito della salute. Lo slogan del padronato secondo il quale i profitti vanno privatizzati e le perdite socializzate, fatto proprio anche dai sindacati hanno rappresentato la loro fine. La fine della Festa dei Lavoratori così come l’abbiamo conosciuto per i primi cento anni.
Sarà, come si è detto, che i tempi sono cambiati. Non vi è più la passione di un tempo, la voglia di scendere in piazza, di rivendicare, attraverso questa giornata di mobilitazione nuovi diritti, non da oggi il primo maggio è diventata l’occasione per fuggire dallo stress del lavoro, dallo smog della città, insomma una giornata di riposo, di rilassamento mentale, magari, se il cielo è blu e il sole è caldo, una buona occasione per andare al mare. Rimangono poche grandi manifestazioni provinciali nelle principali città e il concerto musicale a Roma con la partecipazione di artisti di fama nazionale e internazionale ad allietare i giovani e gli anta dai capelli ingrigiti, magari qualcuno ancora nostalgico di quella che fu e difficilmente tornerà ad essere.
Per inciso le otto ore furono conquistate dai metalmeccanici con l’accordo di Milano del 20 febbraio 1919, imponendo le 48 ore settimanali, oltre alla nascita delle Commissioni Interne. Bisognerà poi aspettare il 1975 per ottenere le 40 ore settimanali, grazie alle lotte iniziate nel decennio precedente.
Il prossimo obiettivo sono le 35 ore, puntando rapidamente alle 30 Se i padroni lo permetteranno. Forse.
[1]Renato Zangheri (a cura di): Storia del primo maggio, AIEP Editore
[2] Il Mattino, 4 maggio 1892: Varie, firmato Veritas
[3]Per una completa ricostruzione degli eventi legati al 1° maggio 1898, Cfr. Raffaele Scala: Catello Langella, alle origini del socialismo e della Camera del Lavoro a Castellammare di Stabia, in Studi Stabiani in memoria di Catello Salvati, Miscellanea a cura di G. D’Angelo, A. Di Vuolo e A. Ferrara, pag. 155 – 230, Nicola Longobardi Editore, 2002
[4] Il Mattino, 3 maggio 1898: Echi del primo maggio in provincia. L’agitazione pel prezzo del pane, firmato Kerecardia
[5]Cfr. Avanti! Del 3 maggio 1910: A Castellammare di Stabia, articolo di Ignazio Esposito
[6]Cfr. Raffaele Scala: 1907-2017. Centodieci anni di sindacato a Castellammare di Stabia. Le origini, in Cultura&Società, anno VII, n. 7/11, 2013/2017, pag. 149-171
[7] La Propaganda n° 921 del 6 maggio 1911: L’inaugurazione del vessillo della Camera del Lavoro” di Alfonso D’Orsi, ma anche L’Avanti! del 29 aprile e 3 maggio 1911, A Castellammare di Stabia.
[8] Il 14 marzo 1912 il Re Vittorio Emanuele III subì un attentato, mentre intorno alle 10,30 si recava al Pantheon in compagnia della consorte, ad assistere alla messa funebre celebrata ogni anno in memoria del padre, Umberto. A tentare il regicidio, sparando due colpi di rivoltella, fu il giovanissimo anarchico individualista, Antonio D’Alba, successivamente condannato a 30 anni di reclusione.
[9] La Propaganda n° 975 del 16 maggio 1912. L’oratore interrotto dagli infuriati nazionalisti era un tale Bordiga, appena espulso da Tripoli e corrispondente di Terra del Lavoro, giornale di tendenza monarchico liberale che si stampava a S. Maria Capua Vetere
[10]Raffaele Scala: Centodieci anni di sindacato, cit, pag. 163
[11] l’Unità del 3 maggio 1924: Castellammare.
[12] l’Unità del 6 maggio 1926: A Castellammare di Stabia
[13] La Voce del 30 aprile 1948: 1° maggio a Castellammare
Leave a Reply
Devi essere connesso per inviare un commento.