di Ranieri Popoli
L’emergenza Covid19, tra le altre cose, ha provocato la chiusura delle Scuole e delle Università costringendo le istituzioni a trovare una qualche soluzione di rimedio, in particolare l’utilizzo del digitale telematico. Un avvenimento imprevisto che, quindi, non è potuto essere disciplinato e organizzato in modo compiuto e organico per cui ci si è dovuti necessariamente affidare un po’ al buon senso e un po’ alla creatività dei singoli istituti. Ma il vero problema non è stata l’emergenza scolastica in sé , naturalmente al netto dei disagi creati a studenti, docenti e dirigenti scolastici, soprattutto per ciò che ha riguardato la didattica, ma il futuro, a partire dal prossimo anno scolastico e in prospettiva per ciò che concerne il destino stesso della Scuola pubblica italiana. Inizia a farsi strada in più ambienti l’idea che il digitale telematico, tutto sommato, con qualche regolamentazione più circostanziata e una certa dose di innovazione e potenziamento strumentale della tecnologi, potrebbe risolvere buona parte del problema nell’eventualità che dovesse ripresentarsi una emergenza. Quindi è nelle ipotesi che il digitale telematico potrebbe essere il futuro necessario dell’insegnamento. Cerchiamo ora di prendere per buona questa ventilata ipotesi, non proprio peregrina, e cerchiamo di individuare le ragioni che dovrebbero in qualche modo scongiurare una simile prospettiva, che come vedremo non si circoscrive alla sola problematica scolastica ma investe uno scenario sociale ben più ampio. Partiamo da una domanda tranchant: perché la lezione digitale non può essere un qualcosa di credibile come una lezione tradizionale? L’insegnamento dal vivo e la didattica a distanza non solo non sono complementari ma sono addirittura incompatibili in quanto la caratteristica della vicinanza non è qualcosa da poco ma costituisce l’essenza del concetto di educare che è diverso da quello di in-formare. L’ educazione da secoli ha il compito di trasmettere dei saperi per creare coscienza, ragionamento, libertà di pensiero e questo lo si può fare solo se esistono due condizioni fondamentali: una di relazione interpersonale, tra studente e docente, l’altra di dimensione, nel senso che tale correlazione la si può avere solo delle particolari condizioni di collettività e non di solitudine. L’insegnamento prende forma, cioè diventa formazione, quando riesce a coinvolgere entrambi i soggetti della didattica, per cui si impara insieme , giorno dopo giorno ognuno a fare bene con umiltà il proprio mestiere, sia lo studente che il docente. Uno schermo a distanza non potrà mai offrire quell’effetto che un professore può avere quando guarda ed è guardato negli occhi dallo studente perché lì c’è il riflesso e la percezione di ciò che è stato recepito e di quello che l’insegnante ha saputo trasmettere. Ecco perché una delle brutture della controriforma scolastica iniziata dal Centro Sinistra prodiano, di seguito ripresa e accentuata dal berlusconismo fino alla svendita renziana, quella della Scuola pollaio, ha privato alla magia dell’insegnamento una degli aspetti più importanti : quello di vedersi e riconoscersi. In questa incredibile “distrazione di massa ” è facile giungere alla fuorviante conclusione che gli studenti sono svogliati magari senza chiedersi perché non si è meritata la giusta attenzione da parte dei ragazzi. Senza pathos, lo diceva già Platone millenni or sono, non c’è coinvolgimento , non si crea osmosi ed è difficile che un contenuto possa passare da un interlocutore all’altro. Molti diranno che tra il non poter fare scuola e la didattica a distanza è sempre meglio fare qualcosa. La questione si pone, però, se l’emergenza puo’ diventare in parte o totalmente la normalità e quindi si instaura una sorta di espediente odisseo per cui si consente al mondo dell’imprenditoria telematica internazionale di entrare di fatto nella vita interna della Scuola italiana. Si, perché i più credono che quello della telematica scolastica sia solo una questione di componentistica elettronica: i computers, le lavagne on line, i supporti didattici, ecc. Certo c’è anche questo ma il punto vero è che le multinazionali del “digital school” forniscono i softwers, le applicazioni , i contenuti tecnici ma anche formativi per cui si tratta di capire fino a che punto un istituto scolastico potrà mantenere una propria autonomia di impostazione di piani di studio considerato che il vero problema dell’ammodernamento del know now non è tanto la parte hardwer ma quella dei programmi che devono essere continuamente aggiornati, generando in tal modo anche una dinamica esponenziale ai budget delle scuole-aziende, che, perdendo progressivamente la propria indipendenza, possono confidare solo in joint-venture con le imprese private sparse in tutto il mondo. La famigerata “Buona scuola” di impostazione renziana ha previsto in bilancio ben un miliardo e mezzo circa di euro per il digitale didattico e scarse risorse per l’aggiornamento dei docenti o l’assunzioni di nuovi insegnanti per smantellare il modello dell’affollamento creato dai governi Berlusconi. La pandemia ha, quindi , disvelato, anche in modo drammatico, quello che da troppo tempo è noto e cioè che il modello neoliberista, in modo più o meno diretto, anche nel
nostro Paese ha concepito la riorganizzazione globalizzata fondata sul restringimento degli spazi democratici e delle conquiste civili mettendo mano a una progressiva riduzione dei fondi nei tre settori cardini dello Stato sociale – Sanità, Trasporti e Istruzione pubblica – quelli che garantiscono, in un Paese che vuole definirsi avanzato, la dignità umana . Pensiamo solo a questo elementare dato aritmetico per comprendere come probabilmente sarebbe stato fattibile una soluzione più corrispondente alle esigenze dell’insegnamento in questa nuova situazione emergenziale se invece del rapporto studenti-docenteci fosse stato ancora quello storico . I soldi sono stati reperiti per il digitale didattico, per abbellire le scuole, per progetti paraformativi non sempre corrispondenti a una reale utilità, per favorire attività ibride di esternalizzazione dalla dubbia validità mentre non si sono trovati per valorizzare le retribuzioni, le professionalità, l’aggiornamento e l’aumento dei docenti . Ecco perché sorge il legittimo sospetto che in tale contesto il digitale didattico sia uno stratagemma per far entrare in modo organico la struttura economica e industriale nel mondo della Scuola per ordire lo stesso piano di “privatizzazione” che si è realizzato nella sanità e nei trasporti pubblici, non tanto nell’aspetto degli assetti “proprietari” ma del condizionamento, dello snaturamento e di perdita della sua funzione originaria che era quella di creare servizi e diritti e non merce e competizione. A queste motivazioni ci sarebbe da aggiungere una non meno importante che riguarda la salute psicologica e la sfera delle libertà dei giovani già esageratamente vincolati all’utilizzo quotidiano dei supporti telematici e di comunicazione perché, se ancora non è chiaro, dietro lo schermo avvincente di un cellulare o di un computer, come in modo lungimirante ebbe a dire Stefano Rodotà, c’è una grande idea di controllo della società, non nel senso strettamente orwelliano ma di orientamento e condizionamento subliminale, oggi utile al mercato e domani al governo delle democrazie. Se oggi un’app. o un algoritmo riesce a organizzare, come dicono i realizzatori, un enorme flusso di informazioni o dei servizi di alta specializzazione, un domani una piattaforma didattica potrebbe “educare” in ogni angolo del mondo allo stesso modo, con gli stessi contenuti trasformando di fatto gli studenti in seguaci e l’insegnante in una sorta di capo spirituale. Attenzione, però, perché quando diciamo studenti non ci
riferiamo a tutti indistintamente ma in particolare a quelli appartenenti alle fasce sociali medie e subalterne, quelle impoverite materialmente e moralmente dalla crisi economica che imperversa dal 2008, in quanto le elitè proprio perche coscienti dell’arretramento di credibilità delle scuole pubbliche riorganizzate dal neoliberismo, i propri rampolli li spediscono negli istituti e nelle università dove, dietro corrispettivo di esose rette, persistono i parametri e le caratteristiche della Scuola tradizionale , a partire dall’assicurarsi un rapporto diretto con un docente di qualità che fonda le sue lezioni sul cartaceo e i fondamenti del sapere critico.
Non vogliamo proprio convincerci che il nostro vero bene prezioso sono proprio le relazioni umane che diventano un capitale umano, non per essere valutato come potenzialità economica e finanziaria, ma etico, culturale, sociale perché impediscono innanzitutto la moderna forma dominante di alienazione che è l’illusione del sentirsi comunità quando in effetti si è sempre più isolati fisicamente e intellettualmente. Le controriforme che da circa trent’anni si stanno susseguendo nel nostro Paese lentamente ci hanno portato verso il prototipo della scuola azienda, guidata da presidi manager i quali non si occupano in modo preminente di strutturare un istituto che mette al centro la didattica e la sapienza degli studenti ma l’amministrare, il progettare servizi ed eventi che devono produrre una indistinta attrattività . Ma la vera funzione della scuola è quella di formare cittadini colti e liberi , capaci di ragionare con la propria testa, di saper dire no ai falsi valori del modello vincente della società neoliberista anzi trasformando i singoli istituti e università in avamposti, in presidi inespugnabili per un Sistema globale fondato sulla giustizia sociale, sulle libertà democratiche e sui principi della emancipazione culturale. Per queste ragioni sarebbe utile un “ Piano Marrshall” , mi si passi l’utilizzo dello slang a soli fini comunicativi, per il settore della pubblica istruzione utile a non ricorrere a soluzioni precarie e transitorie di adeguamento strutturale ma a ripensare gli spazi e l’idea stessa della futura Scuola Pubblica . Un “rinascimento” che potrà avere senso se si saprà realizzare una grande alleanza tra istituzioni, mondo della Scuola , famiglie e forze e sociali, mettendo nel conto anche un forte scontro politico, se non si vorrà rinchiudere la Scuola che fu di Francesco De Sanctis e quella del futuro del nostro Paese in uno schermo parlante o in una gabbia di plexiglass.
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