Apartheid di genere e resistenza delle donne afghane

 

di Gabriella Notorio

Una notizia importante per le donne afghane, in realtà già diffusa alla fine di gennaio, ma poco risonante a livello mediatico.

Il procuratore capo della Corte penale internazionale, Karim Khan, ha richiesto un mandato di arresto per il capo supremo dei Talebani e per il presidente della Corte Suprema dell’Afghanistan in ragione alla persecuzione realizzata sistematicamente contro le donne afghane negli ultimi quattro anni. Quattro anni spaventosi in cui, con il ritorno dei Talebani nell’agosto del 2021, si è realizzato un sistematico piano di distruzione del femminile ed una regressione spaventosa dei diritti e delle libertà delle donne.

Karim Khan si è espresso con chiarezza sulle “ragionevoli motivazioni” a carico di entrambi i soggetti sopra menzionati, ritenuti “penalmente responsabili per il crimine contro l’umanità di ‘persecuzione di genere”.

Solitamente la persecuzione di genere non è mai considerata un reato autonomo, ma è associata o aggiunta ad altri reati. Un fatto storico e significativo dunque sul piano del diritto penale internazionale.

In Afghanistan poi, oltre alle donne, a pagare un prezzo ugualmente elevato sono anche i membri della comunità LGBTQI+, che subiscono punizioni fisiche con metodi violenti e coercitivi senza precedenti da parte del regime.

Le Nazioni Unite riconducono tutto quello che sta avvenendo in Afghanistan ad un unico termine: “apartheid di genere”.

Hibatullah Akhundzada, capo dei Talebani, su cui corre la richiesta di mandato d’arresto, si mostra ormai molto poco in pubblico e, arroccato nel suo bunker di Kandahar, continua indisturbato a perpetuare tali crimini. Crimini che non fermano tuttavia l’agire femminile, la resistenza delle donne afghane. Per quanto velate, segregate, rese invisibili e mute, perché anche la loro voce spaventa, sono oggi le protagoniste indiscusse di questa lotta. Una lotta assidua e silenziosa che inizia nelle città lontane dalla capitale Kabul, dove le donne continuano ogni giorno ad incontrarsi segretamente con cartelloni di protesta sfidando persino le torture e violenze a cui sono sottoposte nelle prigioni femminili.

Diverse le attiviste che, dopo l’arresto, sono state oggetto di sparizioni forzate in cui la tortura è il fulcro cruciale della punizione.

Da Neda Parwani, divenuta molto popolare con i suoi video su Youtube ed arrestata con il marito e il figlio di quattro anni, all’attivista per i diritti Parisa Azada, a Zholia Parsi, fondatrici del Movimento spontaneo delle donne afghane, a Manizha Seddiqi attualmente ancora detenuta.

La resistenza in Afghanistan è correttamente declinata al femminile e si sta opponendo al decalogo dell’orrore retrogrado e fondamentalista del regime.

Nella dinamica oppressore e resistente si insinua infatti il coraggio di queste donne, sorelle, che si battono contro la visione androcentrica e patriarcale dei Talebani. il rovesciamento dell’egemonia del maschio e del maschile che da sempre usa il potere e le autorità per contrastare l’emancipazione femminile è la radice di questa grande resistenza delle donne afghane.

Non sarà per nulla un traguardo semplice ripristinatare i diritti e libertà per le donne ma è altrettanto imperativo agire per sottrarre terreno alle forze del regime in nome dei valori della democrazia e dell’anti-fondamentalismo. In nome della giustizia sociale. In nome delle donne.

Be the first to comment

Leave a Reply