di Franco Mari
Nei giorni di Pasqua l’assalto alle seconde case non c’è stato, anche se con le prevedibili irresponsabili eccezioni, grazie ai più che hanno scelto spontaneamente la prudenza e agli appelli per dissuadere quelli che ci avevano fatto un pensierino. Ora, però, superato il primo “rischio esodo”, sarà il caso di cominciare a ragionare sul futuro del settore turistico anche nella nostra provincia. Proviamo a pensare positivo. Se i fatti ci smentiranno rivedremo analisi e progetti, ma il programmare per approssimazioni successive è intrinseco a questa condizione. D’altra parte, restare a casa non significa non immaginare come affrontare al meglio il futuro prossimo.
Dalle informazioni disponibili e da alcuni segnali, come l’attenzione alla logistica degli stabilimenti balneari, sembrerebbe che la stagione turistica estiva non salterà del tutto. Le indicazioni ce le deve dare sicuramente la scienza e sulla gradualità dell’approccio ad una nuova “normalità” non ci sono dubbi, ma è molto difficile che la Campania possa fare completamente a meno di questo pezzo della sua economia che vale oltre 10 miliardi di euro, quasi il 10% del PIL regionale. Una quota importante, un terzo della quale deriva dalle presenze di ospiti stranieri; un altro aspetto su cui bisognerà lavorare per recuperare tutto il possibile attraverso i flussi interni.
Anche in questo comparto ci saranno piani di rientro dal lockdown decisi dalla Commissione nazionale che si occupa della riapertura, con misure specifiche da attuare nei diversi settori della produzione turistica, dalla ristorazione agli hotel, dagli stabilimenti balneari all’ospitalità extra alberghiera. Tutti sono consapevoli del fatto che il distanziamento sociale non è particolarmente agevole nelle strutture ricettive, tanto è vero che abbondano ormai le soluzioni, da quelle di buon senso alle più fantasiose e impraticabili. Sicuramente, però, saranno richiesti standard di sicurezza elevati e potrà venire in aiuto il contact tracing. L’ossimoro dei prossimi mesi sarà purtroppo “estate a bassa socialità”.
Comunque, tra disposizioni nazionali e specificità territoriali, questa volta, bisognerà trovare il giusto equilibrio. C’è da mangiarsi le mani per aver depotenziato le Province, ma ora sarebbe necessario almeno utilizzare veramente la legge regionale sui “Poli Turistici Locali” e intervenire anche attraverso strumenti operativi, tanto strombazzati quanto inutilizzati, come i Distretti Turistici. Ma, soprattutto, ogni fase nuova ha bisogno di progetti condivisi. Per cambiare modo di convivere e di lavorare non bastano gli atti amministrativi e tantomeno le decisioni cadute dall’alto, servono strategie centrali e modelli locali accompagnati da una consapevolezza diffusa che può venire solo dalla partecipazione alle scelte. È un momento di grande trasformazione, che passa per i singoli individui e arriva agli interessi collettivi. Cambia tutto.
Ma come cambieranno domanda e offerta nel settore delle vacanze e del tempo libero al tempo del Coronavirus? Ci sarà ovviamente chi cercherà di ritrovare le spiagge affollate della riviera romagnola, ma è abbastanza prevedibile che rimarrà deluso. Più saggiamente e realisticamente, invece, specialisti del settore, brokers, ma anche rappresentanti del Governo come il sottosegretario ai Beni culturali Lorenza Bonaccorsi, parlano di occasione per il turismo “di prossimità”, quello dei borghi e dei piccoli paesi da cui è possibile raggiungere in poco tempo località marittime e siti storici, archeologici o religiosi.
Non sarà certo un radicale ricorso al downshifting, una ritorno di massa alla vita semplice e a contatto con la natura, ma sicuramente saranno sempre di più quelli che nei giorni liberi e nei periodi di vacanze cercheranno spazi incontaminati e la possibilità di sperimentare un rapporto con l’ambiente in antitesi alle restrizioni imposte dalle strategie di contenimento della pandemia. Settimane, anzi mesi di isolamento domestico, spesso negli spazi limitati di un appartamento di città, spingeranno chi può a scegliere soluzioni capaci di offrire un diverso equilibro per il corpo e per la mente. Mare pulito, bellezze paesaggistiche e attrattori culturali faranno la differenza.
Una descrizione che sembra l’identikit del Cilento. Allora dobbiamo chiederci quale ruolo potrà avere il sud della nostra provincia in questo cambio di paradigma, in questa modificazione della domanda turistica e della gestione del tempo libero. Ovviamente ci sono tanti altri territori a livello nazionale che hanno caratteristiche spendibili e si proporranno ognuno con le propria specificità, ma, appunto, bisogna mettere a sistema una volta per tutte la risorsa di cui disponiamo. A condizione di non aprire nessun varco, e di chiudere quelli che ci sono, al consumo di territorio, alla cementificazione, alla compromissione dell’equilibrio ambientale.
Occorre agire subito avendo chiara la direzione. Va ripensato il rapporto con le aree interne, con la loro biodiversità, con le loro produzioni di qualità, con il loro patrimonio architettonico. Bisogna investire sull’ospitalità diffusa: quanti “paesi albergo” è possibile realizzare a contorno delle località balneari? È necessario limitare al massimo il “fai da te” dei singoli Comuni, unendo le forze per utilizzare esperienze e competenze esterne, puntando ad una offerta unica e integrata anche sul piano della comunicazione, senza escludere l’uso di “Testimonials” capaci di mobilitare ulteriori energie, di attrarre altre personalità, di facilitare l’organizzazione di eventi.
Serve un ampio investimento sul lavoro. È già tardi, deve essere varato ora, immediatamente, un piano di aiuti mirati, per adeguare gli spazi, per convertire le attività del tutto o in parte incompatibili con il distanziamento. Pensiamo ad esempio alla trasformazione, anche parziale, delle attività di ristorazione al pubblico in “gost kitchen” nella terra della Dieta Mediterranea. Bisogna approfittarne per una grande operazione di regolarizzazione del lavoro sommerso, attraverso un intervento coraggioso della Regione e dello Stato. Il tema della formazione diventa decisivo per attuare questa strategia, senza trascurare l’integrazione di reddito che ne potrebbe derivare utilizzando le risorse comunitarie disponibili.
I tempi sono strettissimi, perciò è indispensabile fare subito il punto sullo stato delle infrastrutture: sulla viabilità per intervenire laddove possibile ed evitare ogni disagio, sulle vie del mare per alleggerire il carico sulle strade, sulla diffusione della banda larga per garantire la connessione necessaria alle imprese, ai lavoratori e agli ospiti.
Senza incertezze la strategia dell’accoglienza deve sostanziarsi su quattro direttrici. Una politica culturale, per immaginare da subito eventi, mostre, spettacoli compatibili con il distanziamento e il più possibile gratuiti, da integrare in un’unica programmazione con le manifestazioni e le rassegne storicamente organizzate sul territorio. Una politica ambientale, che metta al primo posto in modo evidente e spendibile la tutela della natura e del paesaggio facendone il vero “core business” di quest’area. Una politica per la qualità dei servizi pubblici e degli esercizi privati, a partire ovviamente dall’adeguamento delle strutture sanitarie e della medicina territoriale, che elevi complessivamente gli standard e faccia uscire dalla mediocrità gran parte delle attività commerciali, a partire dall’enogastronomia, ma non solo. Una politica di contenimento dei prezzi, disciplinata e controllata dalle istituzioni locali, che non scarichi sulla clientela i costi della crisi, anzi, anche se con qualche sacrificio, investa veramente sul futuro.
Occorre una sede permanente di confronto tra decisori e rappresentanti delle categorie per ipotizzare scenari diversi a seconda dell’intensità delle misure che saranno mantenute o adottate ex novo per il periodo estivo. Le decisioni devono essere assunte insieme ai lavoratori e alle loro rappresentanze sul modello dei CAR (Comitati Aziendali per la Ripartenza) che sta avanzando su proposta sindacale per il riavvio delle attività industriali. In questa impresa devono essere coinvolti i saperi e le energie delle associazioni, delle cooperative di produttori, delle organizzazioni sociali che a decine, da decenni, animano quei luoghi e tengono in vita le speranze di quelle comunità. È possibile, una volta tanto, un vero percorso democratico? Al Cilento, alle sue bellezze e ai suoi abitanti non servono interventi a pioggia, incapaci di guardare alle difficoltà e alle opportunità che abbiamo di fronte.
*Pubblicato su “il Quotidiano del Sud” martedì 21 aprile 2020
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