Diodato Bertone, il Matteotti di Torre Annunziata

 

di Raffaele Scala

  

Di origini piemontesi, era nato in provincia di Torino, Diodato Bertone si era trasferito giovanissimo a Torre Annunziata trovando in questa città lavoro nelle Ferriere e Acciaierie del Vesuvio, sorte nel 1887 ad opera di due imprenditori francesi. [1] Probabilmente il suo trasferimento a Torre era dovuto proprio all’apertura di questo grande stabilimento, capace di dare lavoro fino a duemila unità e fin dall’inizio in cerca di manodopera specializzata, trovandola in larga misura tra liguri, toscani e piemontesi, disponibili a mettere radici nel già sviluppato triangolo industriale dell’area torrese stabiese. Questi uomini portarono con loro un notevole bagaglio tecnico nel settore ed una cultura politica sindacale che aiutò non poco il nascente movimento operaio locale. Tra questi non fu da meno il nostro Diodato dimostrandosi ben presto un valente capo macchinista e un audace militante socialista.

 

Questo scrivevo anni fa, quando mi accinsi a scrivere la biografia del grande militante socialista di Torre Annunziata, sul quale in precedenza vi erano solo poche, scarnificate righe scritte da Eduardo Ferrone nel 1983. Lo storico locale dava per certo le origini piemontesi di Bertone e il sottoscritto, nell’impossibilità di trovare  ulteriori tracce sulle sue origini, si fidò. E male fece! Oggi scopro, grazie al lavoro svolto da altri ricercatori più attenti, quali Vincenzo Marasca, Lucia Muoio e Antonio Papa, le vere origini del nostro sfortunato protagonista.

Così oggi possiamo riscrivere che Diodato Bertone era nato a Fisciano, in provincia di Salerno nel 1868, figlio di  Giuseppe e Giuseppa Napoli. Rimasto vedovo della prima moglie, dalla quale ebbe cinque figli, si trasferì a Torre Annunziata in seguito all’assunzione da parte delle Ferriere del Vesuvio, poi Ilva, con la qualifica di meccanico. Il 25 giugno 1914, si risposò di nuovo con Margherita Attrice Di Martino, figlia di Carlo e di Elisabetta Atripaldi. Dal nuovo matrimonio nacquero altri tre figli, Carlo, Wilson e Diodato. Quest’ultimo nato dopo la barbara uccisione del padre.[2]

Nella città famosa per la presenza della più antica Fabbrica d’Armi del Mezzogiorno e per i suoi innumerevoli pastifici, Diodato trovò moglie impalmando una florida e avvenente fanciulla di agiata famiglia napoletana[3] che gli avrebbe dato quattro figli. Inseritosi nel movimento operaio locale ne divenne ben presto uno dei più affermati dirigenti, fu, probabilmente, tra i promotori della sezione socialista sorta nel 1895 e tra quanti costituirono la Camera del Lavoro nel febbraio del 1901, guidata da Alcibiade Morano, ma la cui costituzione fu ad opera, principalmente di un guardiano di mulini, Cataldo D’Oria. La sede era in via Eolo, nei pressi di Largo Fabbrica d’Armi, un fabbricato ancora oggi esistente e sede di un garage. Nel 1904  troviamo Diodato candidato nella lista del Psi, impegnato nelle elezioni amministrative del 7 agosto.[4]

La Fiaccola, periodico locale, nel suo numero 10 del 16 ottobre 1909, lo cita quale oratore, con Gino Alfani, Segretario Generale  della potente Camera del Lavoro torrese, in un comizio tenuto presso la sede sindacale dopo un imponente corteo tenuto per protestare contro la condanna a morte di Francesco Ferrer (1859 – 1909), pensatore e anarchico spagnolo, arrestato il precedente 31 agosto perché ritenuto tra i fomentatori  della sanguinosa insurrezione barcellonese contro la guerra in Marocco e per questo fucilato il 13 ottobre dopo un processo farsa.[5] Lo ritroviamo nuovamente il 17 agosto 1910 in un turbolente comizio a Piazza Annunziata contro il caro pigione, al quale parteciparono oltre seimila operai, diecimila le presenze complessive, considerando la notevole partecipazione di comuni cittadini interessati all’argomento. Con lui parlarono il Segretario della Camera del Lavoro Gino Alfani, il capolega Beniamino Romano e l’operaio Cipriani.[6]

Negli anni successivi la sua militanza politica andò in crisi, non ne conosciamo i motivi, probabilmente i troppi figli, la necessità di mantenersi stretto il lavoro, di non perderlo, il salario troppo basso, non sappiamo con certezza, ma di fatto, si rivelò essere un protagonista in negativo nella dura e sfortunata vertenza che oppose per nove mesi i circa mille operai della Ferriera del Vesuvio contro il potente trust che vedeva nella forte Lega metallurgica di Torre Annunziata un nemico non da piegare ma da abbattere per cancellare  le troppe conquiste conseguite dall’organizzazione sindacale. Cosa fece Diodato Bertone durante questi mesi infuocati, tra occupazione della fabbrica, intimidazioni poliziesche e licenziamenti? Come si comportò lo apprendiamo da un duro articolo del quotidiano nazionale del Partito Socialista, l’Avanti!

 

In assemblea è stato deplorato vivamente la condotta di Diodato Bertone, ex compagno socialista, il quale, oltre a tradire la causa dello sciopero ha tentato di trascinare nel baratro della vergogna altri compagni di lavoro. Il Bertone avendo tentato di intimidire la moglie di uno scioperante, a nome Sorrentino Domenico, la donna lo rimbeccò vivacemente rinfacciandogli il suo passato socialista e facendogli notare l’infamia del tradimento consumato a danno dei propri compagni.[7]

 

Forse, semplicemente, Diodato ebbe paura, paura dello spettro del licenziamento, dei nove figli da mantenere, da sfamare e crollò, rinnegando le sue idee, vendendo l’anima al nemico, al padrone, diventando un crumiro. Non fu il solo, altri vennero meno, ma il suo era un nome importante del socialismo torrese, a lui non poteva essere perdonata nessuna debolezza, nessuna viltà. Ma quando la grande paura passò e la vergogna della sua debolezza, la consapevolezza che non poteva finire in questo modo la sua storia di militante e di dirigente socialista lo fece rinsavire, si umiliò chiedendo scusa e fu perdonato, rientrando ben presto nelle fila del movimento operaio, riprendendo il posto che gli spettava ed è così che lo ritroviamo applaudito oratore nella festa del 1 maggio 1918, accanto a Gino Alfani. Di certo non dimenticò mai quel formidabile braccio di ferro, quella bella pagina di lotta sindacale, censurando il suo operato. Anni dopo, infatti, partecipando al VII Congresso nazionale della Fiom, tenutosi a Roma dal 1° al 4 novembre 1919, intervenne ricordando la gigantesca lotta di Torre Annunziata, quell’incredibile, eroica avventura sindacale vissuta tra l’11 agosto 1912 e il 19 maggio 1913, che vide la partecipazione appassionata dei maggiori leader nazionali del Partito Socialista e della Confederazione Generale del Lavoro, tra i quali un giovanissimo Amedeo Bordiga, il futuro fondatore e leader carismatico del Partito Comunista d’Italia.[8]

Imponente era stato anche lo sforzo finanziario della Confederazione, che aveva contribuito con oltre 22mila lire a sostegno della invincibile resistenza degli eroici scioperanti di Torre Annunziata.[9] Nello stesso congresso Diodato intervenne a proposito della necessità della conquista delle otto ore e ammonendo che questa non doveva avvenire a discapito del salario.[10]

Lo ritroviamo ancora nel 1918 tra gli oratori del primo maggio nel consueto comizio tenutosi, per gli eventi bellici ancora in corso, nei locali della Camera del lavoro. Il suo discorso entusiasmo gli operai, applaudendolo freneticamente. Al suo fianco il mai domo Gino Alfani, onnipresente dirigente sindacale e Sindaco della città oplontina.

Quando il 30 agosto 1920 lo stabilimento Romeo di Milano attuò la serrata, creando le premesse per l’occupazione delle fabbriche in tutta Italia, e che in Campania interessò Napoli, San Giovanni a Teduccio, Castellammare di Stabia, Torre Annunziata e Gragnano, Diodato Bertone non si tirò indietro e fu tra coloro che guidarono entusiasti l’occupazione delle Ferriere del Vesuvio, con lo sventolio delle bandiere rosse, sognando l’avvento dei Soviet.

La sua fine era, però, ormai prossima, frutto della violenza che in tutto il Paese si stava abbattendo, quale furiosa reazione borghese al biennio rosso e alla grande paura esercitata dalla rivoluzione russa, consentendo l’avvento al potere di Benito Mussolini e il conseguente instaurarsi del regime fascista. Da mesi in tutta Italia avvenivano assassinii di militanti di sinistra, con Camere del Lavoro e Case del Popolo assaltate, devastate e bruciate. Alla Camera dei deputati si sprecavano le interrogazioni dove si denunciavano, in particolare al Nord, bande armate che di notte penetravano nelle case di militanti e dirigenti sindacali e politici del Psi e del Pcd’I per sequestrarli e assassinarli, spesso con la silenziosa complicità delle forze dell’ordine. Denunciava, per esempio, il 10 marzo 1921 Giacomo Matteotti – a sua volta oggetto, come altri deputati, di minacce e pesanti intimidazioni da parte di squadracce fasciste, prima del suo efferato assassinio nel 1924 –   in una drammatica interrogazione, in cui ricostruiva una serie di brutali omicidi a danno di contadini e militanti di sinistra nell’assordante silenzio dei preposti all’ordine pubblico.

 

(..) Un altro tenente dei carabinieri che finge di contenere le spedizioni facinorose, è un noto amico di organizzatori fascisti e fu udito prendere accordi con loro dentro i locali di un pubblico ufficio. Il comandante dei carabinieri agisce spesso a rovescio delle istruzioni prefettizie. Il brigadiere di Pincara, ove è stato compiuto l’assassinio durante la notte, mangia, beve, canta e spara insieme ai fascisti (…). A Loreo i fascisti su di una strada, assaltarono un povero disgraziato, lo picchiarono e poi si presentarono al comando dei carabinieri dichiarando di avergli sequestrata una rivoltella. I carabinieri, invece di arrestare coloro che lo avevano picchiato e assalito e perquisito, sostituendosi se mai alla pubblica autorità, arrestarono lo stesso disgraziato e insultato. Sono metodi e sistemi che hanno persino meravigliato l’autorità politica. Perciò la mia interrogazione era anche diretta al ministro della guerra, troppe volte assente, disertore da questi banchi della Camera, per sentire le sue responsabilità. [11]

 

Nel sud la situazione non era meno drammatica, specie in Puglia e in Campania con numerosi morti e feriti e continui scontri tra le opposte fazioni.   A Torre Annunziata la locale sede del Fascio era stata inaugurata il 23 febbraio 1921, sull’onda dell’entusiasmo della borghesia cittadina per la caduta, tragicamente sanguinosa, dell’amministrazione rossa della vicina Castellammare e che lasciava presupporre la prossima caduta della non meno odiata amministrazione guidata dal sindaco socialista, Gino Alfani. A Torre i primi incidenti si erano avuti all’indomani della vittoria socialista del 31 ottobre quando il neo sindaco, sull’onda dell’entusiastica vittoria fece togliere il quadro del Re dalla sala del consiglio sostituendolo con gli emblemi dei Soviet. Seguirono tumulti, risse e spari tra nazionalisti e socialisti perfino sul principio se sull’edificio comunale dovesse sventolare la bandiera rossa oppure il tricolore. Le dure proteste cessarono soltanto quando arrivò il provvedimento che ordinava la rimessa a posto dei quadri del sovrano, Vittorio Emanuele III.   Nelle settimane e nei mesi successivi fu tutto un susseguirsi di fatti che servì unicamente ad alimentare l’odio fra le opposte fazioni, fino a quando, il 20 febbraio 1921, fascisti provenienti da Napoli e da altre zone limitrofe invasero la città, già posta in stato d’assedio, profittando dello sciopero dei mugnai e pastai, offrendo l’opportunità alle camice nere di mettersi in mostra, occupando gli stabilimenti per bloccarne l’affermazione e sostituire gli scioperanti con manodopera fascista. Inutili le interrogazioni parlamentari dei deputati socialisti, ormai l’arroganza e la prepotenza la facevano da padrone e tre giorni dopo si apriva ufficialmente la sede del Fascio locale

 

cui aderirono gruppi di canaglia senza mestiere, giovani studenti, militari in congedo frustrati nelle loro aspettative e che trovarono occupazione nelle squadre d’assalto, che, sostenute di finanziamenti padronali, organizzarono il crumiraggio, assaltavano e bruciavano sedi democratiche, bastonarono dirigenti sindacali. [12]

 

A queste condizioni non poteva non seguire la tragica notte di venerdì 25 febbraio, quando ci fu l’agguato mortale. Erano le undici di sera quando Diodato Bertone rientrava a casa dal lavoro in compagnia di due compagni dell’Ilva, Nicola Cirillo e tale Pusino. All’improvviso nei pressi di via Roma, all’altezza della Trattoria Stabiese, furono affrontati da una squadraccia fascista, uscita dalla vecchia taverna dove aveva mangiato e bevuto più del dovuto. I due malcapitati accompagnatori furono malmenati e costretti ad allontanarsi accompagnati da minacce di morte se un giorno avessero parlato di quanto stava accadendo. Contemporaneamente contro il povero Diodato furono scaricati diversi colpi di pistola, ferendolo a morte, colpito alla fronte e al ventre. Il martire torrese aveva soltanto 52 anni!

 

Trasportato all’Ospedale Civico, dopo mezz’ora l’infelice è spirato. Egli era un onest’uomo e lascia la moglie con quattro – cinque figliuoli. In segno di lutto i suoi compagni delle Ferriere hanno abbandonato il lavoro. [13]

 

In realtà Diodato non aveva cinque figli, come scrisse l’anonimo cronista del quotidiano napoletano, ma otto e sua moglie era incinta del nono, e questo, per volere dell’inconsolabile vedova, del genitore ereditò il nome.[14]

Senza risposta rimase l’interrogazione parlamentare del deputato socialista, Alfredo Sandulli, richiesta il 28 febbraio:

 

Il sottoscritto chiede di interrogare il Presidente del Consiglio dei Ministri, ministro dell’Interno, sul permesso concesso ai fascisti di Napoli di recarsi il 20 febbraio a Torre Annunziata e sulle tragiche conseguenze della morte di un operaio.[15]

 

Il processo aperto a carico degli assassini evidenziò le responsabilità di alte gerarchie fasciste, protezioni capaci di garantire una rapida amnistia concessa per fini nazionali.[16] Anni dopo, con la caduta del fascismo venne chiesta la riapertura del processo a carico degli imputati, Luigi Fragna, Carlo Peirce e Pasquale Russo perché

 

non deve essere più oltre permesso che i criminali che compirono tale orrendo delitto vivano indisturbati e liberi. Bertone era uno dei fondatori della sezione socialista di Torre Annunziata e militava nel partito da oltre 30 anni. Quindi la reazione fascista volle colpire in lui un socialista ardente e formidabile.[17]

 

L’amnistia che seguì, in nome della pacificazione nazionale, subito dopo l’avvento della Repubblica, impedì che pagassero per il loro terribile, inutile delitto. L’unica giustizia conosciuta dal  martire torrese fu quella messa in atto da un gruppo di giovani comunisti torresi, quando in piazza Cesaro assalirono e picchiarono a sangue uno degli assassini. Per quel gruppo di giovani marxisti, in opposizione alle stesse direttive del Pci di Palmiro Togliatti – considerato alla stregua di un partito borghese –  Diodato Bertone era da considerarsi il Matteotti di Torre Annunziata e andava vendicato ad ogni costo. E così fu fatto.[18]

La prima amministrazione democraticamente eletta a Torre Annunziata, con le elezioni del 15 giugno 1947 e guidata dal sindaco comunista, Pasquale Monaco, con deliberazione dell’8 gennaio 1948, volle intitolare al nome di Diodato Bertone l’antica via Stella, luogo dell’assassinio. Successivamente, nel trentennale della Resistenza, memore della sua condotta di vita, gli assegnò la medaglia d’oro con la seguente motivazione:

 

Militante socialista, operaio dell’Ilva, barbaramente assassinato da una squadraccia fascista la notte del 25 febbraio 1921, mentre faceva ritorno a casa dopo una giornata di duro lavoro, vittima della bestiale ferocia fascista. Egli è rimasto vivo nel ricordo e nel cuore della classe operaia torrese e di tutti i sinceri democratici antifascisti.[19]

 

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La biografia, qui rivista, corretta e ampliata, fu pubblicata nel 1995 in appendice al saggio, Le isole rosse. Storia della Camera del Lavoro di Torre Annunziata, a cura della Cgil Campania e nel sitoweb www.nuovomonitorenapoletano.it il 17 ottobre 2017.

 

 

P.S.: Chiunque possa e voglia fornire notizie e foto utili all’approfondimento dei temi trattati e su Diodato Bertone può contattarmi sulla mia mail personale: raffaele_scala@libero.it.

 

[1]All’inizio del 1900 lo stabilimento passò in gestione al consorzio Ilva che ampliò e potenziò l’impianto.

[2]V. Marasco, L. Muoio, A. Papa: Vita, opere e azioni di 22 figli illustri di Torre Annunziata,Youcanprint, 2019.

[3]Eduardo Ferrone: Le radici del malessere, Napoli 1983

[4]Gli elettori furono 1.964, i votanti 1.575. Il Psi con circo 250 voti non ottenne nessun seggio. Le elezioni furono vinte dal partito degli industriali di Ciro Ilardi, riportando la maggioranza assoluto dei voti e ottenendo 22 seggi. La minoranza andò all’Unione Democratica di Pelagio Rossi che conquistò i residui 8 seggi.

[5] Sull’imponente corteo degli operai delle Ferriere, con la presenza di Diodato Bertone cfr. anche Avanti! del 14 ottobre 1909: A Torre Annunziata. Articolo pubblicato in prima pagina

[6] Cfr. Avanti! del 20 agosto 1910: Un comizio di seimila operai contro il caro pigioni, firmato C.

[7]  Avanti! 5 aprile 1913, art. Lo sciopero dei metallurgici di Torre Annunziata

[8]Per maggiori particolari sullo storico sciopero dell’Ilva di Torre Annunziata vedi Francesco Barbagallo: Stato, Parlamento e lotte politico sociali nel Mezzogiorno, Guida Editori, 1977, pag. 412/417

[9]Il Metallurgico, n° 4, aprile 1913, art. L’invincibile resistenza degli eroici scioperanti di Torre Annunziata.

[10] Maurizio Antonioli e Bruno Bezzi: La Fiom dalle origini al fascismo.1901 – 1924, De Donato Editore, Bari 1978, pag. 466/530.

[11] Atti parlamentari, Interrogazioni, 10 marzo 1921.

L’avvocato e docente universitario napoletano, Alfredo Sandulli, fu eletto per la prima volta nelle elezioni del 26 ottobre 1913 nel collegio di Torre Annunziata, le prime a suffragio universale maschile e riconfermato nelle due legislature successive, del 1919 e del 1924, dove fu votato con la nuova legge elettorale proporzionale.

[12]  Angelo Abenante: Per la libertà. Sorvegliati dall’Ovra a Torre Annunziata, Ed. Libreria Dante e Descartes, 2009

[13]  Sull’assassinio del martire socialista cfr. Il Mattino del 27 febbraio 1921, art. Il conflitto di Torre Annunziata.

[14]  Eduardo Ferrone, cit.

[15] Atti parlamentari del 28 febbraio 1921, Interrogazioni

[16]     La Voce, 8 novembre 1944, art. L’assassinio del compagno Diodato Bertone.

[17]     Ibidem

A proposito di Luigi Fragna, costui, era nato a Napoli, dove la moglie, Anna Petrillo, gestiva una farmacia in Piazza Municipio, ma risiedeva a Torre Annunziata, dove fu uno dei più accesi fascisti, fino a trasformarsi in assassino in uno dei periodi più oscuri della storia che precedette l’avvento del regime nero. Poeta e scrittore, Fragna  collaborò con la Casa Editrice Bideri, in via Mezzocannone, scrivendo numerose rappresentazioni teatrali e numerose canzoni napoletane. Vinse il primo premio nella prima edizione di Piedigrotta. Un figlio di Luigi, Armando (1898 – 1972), fu a sua volta un famoso  musicista, compositore e direttore d’orchestra della Rai, autore di diverse musiche nei film di Totò.  Cfr.sul sito web, Torresi memorie, Almanacco di Torre Annunziata, l’articolo: Armando Fragna. La storia, la famiglia e gli intrecci con Torre Annunziata.

[18] Ferdinando Pagano: Antifascismo e Anti – Antifascismo, Torre Annunziata, 1988, pag. 130/131- 145

[19] Angelo Abenante: Per la libertà. Sorvegliati dall’Ovra di Torre Annunziata. Editore Libreria Dante & Descartes, Napoli 2009.

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