di Floriana Mastandrea
È tempo di una rivoluzione socio – culturale, che può avvenire solo correggendo il sistema sociale ed economico che ci ha governati finora. È quanto emerso nel convegno dedicato a Mario Melino, appassionato attivista ed educatore pacifista nato nel 1916 ad Anzano (FG), dove trascorse buona parte della giovinezza, per essere chiamato nel 1956 da Riccardo Bauer alla Società Umanitaria di Milano, di cui divenne direttore generale fino al 1975. Come ha evidenziato il coordinatore dell’evento “Quale futuro per le zone interne?”, Mimmo Limongiello (Centro Gandhi), Melino sperimentò innovativi percorsi pedagogici, fu meridionalista e personaggio di spicco dell’antifascismo e della politica italiana, animato dal sogno di un mondo di pace e nonviolenza, che si dedicò alla difesa della libertà, della giustizia sociale e della democrazia. Quanto del suo impegno sociale e politico, a partire dalla collaborazione con l’insigne filosofo ed intellettuale meridionalista Tommaso Fiore, suo primo mentore, è ancora attuale in relazione alle problematiche delle aree interne? È stato il tema del convegno promosso ad Anzano dal Centro Gandhi O.d.V., in collaborazione con il Comune di Anzano (presente il sindaco, P. Paolo Lavanga, che con altri amministratori, ha inaugurato l’auditorium comunale), l’Istituto Onnicomprensivo M.L.King e la Pro Loco di Anzano, alla presenza delle figlie di Melino: Erica, Nora e Sonia, alle quali è stata consegnata una targa.
Francesco Gesualdi, fondatore del Centro Nuovo Modello di Sviluppo, originario di Bovino, ma emigrato a Pisa, ha ripercorso i suoi esordi a Bardiana, nella scuola creata da Don Milani per gli ultimi, finalizzata a sviluppare il pensiero, stimolando la capacità di contribuire a cambiare il mondo, in un’ottica di giustizia, eguaglianza e pace. Negli anni Settanta – ha raccontato -, eravamo famiglie impegnate nel mondo sociale e sindacale alla ricerca di efficaci risultati alla nostra azione, così decidemmo di abitare insieme in una casa del pisano, avviando un progetto dalla doppia valenza. Da una parte dovevamo essere capaci di dare una risposta a situazioni di urgente bisogno e, per solidarietà, visto che avevamo già anche i nostri figli, aiutavamo i minori bisognosi, dall’altra, volevamo capire quali meccanismi generano esclusione ed emarginazione, per rimuoverli, affinché nessuno debba subire l’umiliazione di dover bussare all’altrui porta. Considerando che non conosciamo l’economia, ma la subiamo, per riflettere sui modelli economici che condizionano la nostra vita, abbiamo aperto il Centro studi Nuovo Modello di Sviluppo. Il modello nel quale siamo immersi è il sistema capitalistico, secondo il quale ciò che conta di più è il denaro, basato sul sistema dei mercanti, per i quali la ricchezza che conta non è quella delle relazioni, bensì del denaro. È un sistema espansionista-produttivista, prevaricante: per produrre servono risorse e perciò non si fa alcuno scrupolo. Le conseguenze sono almeno tre: guerre, disuguaglianze e degrado ambientale. Oggi siamo presi dalla guerra in Ucraina, ma non scordiamo che da anni se ne trascinano ben 23 ad alta intensità, per un totale di circa 360 nel mondo, molte dimenticate. Le guerre non nascono per motivi etnici o religiosi, appannaggio che ci viene venduto per giustificarle: le vere ragioni sono economiche e riguardano il controllo delle risorse e l’espansione dei mercati. Anche nel caso della guerra in Ucraina, dovremmo andare oltre aggressore ed aggredito, siamo di fronte ad una guerra basata sul contenzioso del gas, conteso da chi lo produce e lo vende: oltre alla Russia, gli Stati Uniti”.
Nell’evidenziare come tutto sia collegato, Gesualdi ha rimarcato la necessità di rifondare ex novo economia e società, pensare in termini di ecologia integrata, anche sul solco di quanto già Papa Francesco ha detto nell’enciclica Laudato si’, smettendo di inseguire la ricchezza fine a se stessa, per costruire invece un’economia del rispetto per tutti, in grado di recuperare oltre 3 miliardi di persone che il sistema ha messo alla porta come zavorra, contro il miliardo e 200 mila di privilegiati che vive meglio. “È necessario, – ha sottolineato – pensare a quelli che verranno dopo di noi e alla dimensione del creato, tenendo presente, come dicono gli Indios, che uccidendo la Natura, uccidiamo noi stessi. Bisognerà rivedere il meccanismo della mobilità, rivedere il nostro concetto di benessere, che confondiamo con la nostra capacità di acquistare e accumulare, riducendo l’essere umano a una sorta di bidone aspiratutto. Rimettiamo in discussione tutto ciò: siamo anche dimensione affettiva, culturale, spirituale. Seguendo ancora gli Indios, il vero benessere è il ben vivere, ovvero l’armonia tra le diverse dimensioni: con noi stessi, con gli altri, con la natura. La grande sfida che ci attende, è come organizzare il ben vivere collettivo, questione che ci riporta alle zone interne. Non possiamo più continuare coi combustibili fossili, o parlare di energia nucleare i cui i danni reali non si conoscono, né di Ogm, di cui saremmo cavie, bisogna utilizzare il principio della precauzione: la tecnologia dev’essere al nostro servizio, non viceversa. Dobbiamo garantire a tutti di vivere dignitosamente, lavorando quanto basta, il meno possibile, siamo stati condannati a lavorare per ottenere quanto ci serve, il lavoro non ci abbandonerà e la cosa strana è che il sistema deve creare il lavoro, mentre l’umanità ha sempre cercato di liberarsi dal lavoro! Tre i tratti imprescindibili dell’economia, che dev’essere: sobria, locale e solidale. Lavatrice, tv, auto, fanno parte del sogno di un “mondo equo”, di ogni famiglia, forse è giusto, ma allo stato il pianeta Terra non è in grado di garantire a tutti questo tenore di vita. Il calcolo dell’impronta ecologica ci rivela che un pianeta non è più sufficiente, abbiamo la disponibilità di 12 miliardi di ettari, ma ne servirebbero ben 22. Servirebbero 1,7 ettari di superficie a testa biologicamente produttiva necessaria a rigenerare le risorse consumate e assorbire l’anidride carbonica prodotta. Consumiamo più CO2 di quanto il pianeta sia in grado di assorbirne e questo comporta anche i cambiamenti climatici in atto. Diviene pertanto necessario ridurre i consumi, utilizzare oggetti riciclabili e riparabili, diventare “prosumatori”, ovvero produttori di ciò che consumiamo, superando in tal modo anche il passaggio del denaro. La globalizzazione fa tornare indietro i salari, per recuperare occorre che chi produce assorba anche il prodotto. Riscoprire la produzione locale darebbe grossi vantaggi: risparmio energetico, difesa del territorio, democrazia tecnologica, occupazione, pace e biodiversità culturale. La vera forza della comunità, che dobbiamo rimettere in moto, è la solidarietà, perno attorno a cui far ruotare il locale: nelle attività produttive, nella difesa del territorio, nella gestione energetica (comunità energetiche), nella gestione dei servizi, intendendo come ricchezza principale di una comunità i suoi cittadini. A livello nazionale, la solidarietà è fondamentale per le infrastrutture, i servizi e il sostegno al reddito, incentivando l’agricoltura biologica, qualitativamente migliore e rispettosa dell’ambiente. In ultima analisi, produrre locale, serve a promuovere la qualità della vita e del lavoro, riportandoli a una dimensione umana e sostenibile.
Nello De Padova, studioso delle economie locali, ha sottolineato come serva una “uscita di emergenza”, occorre tornare a produrre localmente e chiedere che anche il sistema giuridico indirizzi in tal senso. È necessario nel contempo, ripensare l’economia e ridurre la centralità del denaro. Così come occorre rivedere l’organizzazione sinergica tra scuola e lavoro, sostituendola ad esempio, con l’alternanza scuola – volontariato.
Joseph Rickit, artista, studioso dell’ambientalismo e attivista sociale Maori, proviene dalla Nuova Zelanda: trasferitosi da 4 anni a Irsina (MT), ha fondato il Whakapapa film festival, che nel “far tesoro delle differenze”, contemporaneamente le considera la vera ricchezza per unire i popoli. Come coltivatore diretto, insieme alla moglie, regala la sua notevole produzione agricola ai vicini, che a loro volta, gli donano pasta e altri alimenti, in uno scambio armonico che fa stare bene l’intera comunità.
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