di Gabriella Notorio
Ogni tre giorni una donna muore, muore per mano di un uomo, muore di femminicidio.
Tanti nomi, tante le storie, una radice comune chiamata “violenza”.
Sono 120 le donne uccise nel 2023.
Si stimano circa 150 casi ogni anno in Italia dal 2012 ad oggi. Nella maggioranza dei casi, l’assassino è il marito, il fidanzato, il compagno o l’ex partner. Donne uccise in quanto donne in ambito familiare ed affettivo.
Le case, così come le relazioni, non rappresentano sempre un luogo sicuro.
La violenza sulle donne non è un fenomeno emergenziale; le emergenze presuppongono interventi con tempi e durata ben definiti. Le statistiche nazionali ed internazionali in tema di violenza sulle donne ci presentano dati che, anno dopo anno, ne confermano ed affermano la natura sistemica e trasversale.
Il fenomeno è, infatti, strutturale, poiché influenzato da fattori sociali, economici, culturali, tra loro interconnessi. Ed è trasversale, in quanto presente in ogni società, epoca, cultura e gruppo etnico.
E’ un problema di salute pubblica in tutto il mondo, sia sul piano fisico che mentale. Le donne vittime di violenza si ammalano sempre, anche dopo, quando vi fuoriescono.
La violenza, soprattutto domestica, ad oggi rappresenta una tra le cause primarie di morte e disabilità femminile, come indica l’Oms.
Enormemente gravi le conseguenze per la salute fisica (malattie sessualmente trasmissibili, gravidanze indesiderate, malattie cardiache, e tumori) sia psicologica (ansia, depressione, insonnia, disturbi psicologici vari). Molte donne, quelle che sopravvivono, spesso si ritrovano costrette a convivere con disabilità temporanee o permanenti.
Il fenomeno della violenza domestica
La violenza domestica è un tipo di violenza familiare e di genere che, nella sua fattispecie abusante, è condotta dall’uomo sulla donna nell’ambito della relazione sentimentale ed affettiva.
Non presuppone una condizione di vincolo matrimoniale, né di residenza o coabitazione. Il termine domestico non deve, dunque, ingannare poiché riguarda la relazione e le sue dinamiche, non il concetto di casa in sé. Ad essere oggetto di vessazioni a più livelli è la sfera intima della relazione, che rompe il patto di fiducia tra uomo e donna.
La violenza domestica è una violenza di genere, che non va confusa con il conflitto, in quanto ad originarla è una condizione di asimmetria di potere legata appunto al genere; la parte femminile viene sopraffatta, nell’esercizio delle sue libertà e nel godimento dei diritti umani fondamentali, da quella maschile.
Secondo Hirigoyen (2005), la violenza domestica, proprio in virtù dell’asimmetria nella relazione, diverge dal conflitto di coppia ove l’identità di ciascuno è preservata e l’altro è rispettato in quanto persona, in maniera paritaria. Nella violenza questo manca, essendovi uno scopo ben preciso che si traduce nella volontà di annichilire e distruggere la donna vittima in quanto donna.
La violenza può essere acuta o cronica, a seconda del tempo in cui una persona vi è esposta. Nella forma acuta si individuano degli episodi improvvisi e parossistici, spesso slegati tra loro a livello temporale. Nella forma cronica si ha una condizione di dipendenza e sudditanza psicologica, con permanente controllo e potere sulla vita e sul comportamento della donna, la quale non appare più in grado di ribellarsi. Gli episodi sono ripetuti nel tempo, a volte con bassa intensità aggressiva, altre volte con gesti ed azioni crudeli per incutere dolore, comportando così paura e silenzio.
La violenza domestica come reato
In Italia la violenza domestica rappresenta un reato, punito dall’art.572 c.p., “Maltrattamenti contro familiari e conviventi”.
A seconda delle diverse condotte è inquadrato o integrato un reato piuttosto che un altro. Ad esempio, se vi sono le minacce si avrà anche l’art 612 c.p., oppure se vi sono episodi di violenza sessuale verrà incluso l’art.609 bis c.p.
Spesso al termine della relazione l’uomo maltrattante è solito agire con atti persecutori, configurando il ben noto reato di stalking.
I dati presentati nel 2023 dalla Polizia di Stato riferiscono circa 13.793 interventi e richieste di aiuto per “violenza domestica”, un numero decisamente troppo elevato, ma che viene confermato anche dal Report della Direzione Centrale della Polizia Criminale “Il Punto- il Pregiudizio e la violenza contro le donne”, che ne conferma l’incidenza sulle vittime femminili per lo stesso tipo di reato da parte di partner o ex partner, coniugi o ex coniugi.
Bisogna quindi fare attenzione ai primi segnali, tipici di una relazione violenta e disfunzionale.
Li chiamiamo “campanelli di allarme”.
Percosse, schiaffi, calci, pugni sono le tecniche coercitive del maltrattante per piegare fisicamente la donna vittima. Attualmente tuttavia emerge con più frequenza una forma di violenza “invisibile”, condotta sul piano psicologico e più difficile da rilevare. Umiliazioni, minacce, denigrazioni, insulti, svalutazione e carenze affettive con effetti e conseguenze di lunga durata. Controllo dei social, dei movimenti, degli spostamenti, limitazioni nelle attività lavorative e di tempo libero, rottura dei legami familiari ed amicali. L’autostima della donna crolla e si sviluppa un “senso di impotenza appreso”. Si ha la percezione di non riuscire a ribellarsi, la mente della vittima è confusa, fragile e spaventata. Chiedere aiuto in questi casi non è semplice. Il quadro peggiore se vi è correlata una condizione di violenza economica. La donna subisce un rigido controllo dei conti bancari e del proprio reddito, con limitazioni ed impedimenti sul piano lavorativo.
L’obiettivo di ogni maltrattante è il controllo della vita della vittima e il suo isolamento dal mondo esterno.
Fattori sottostanti alla violenza domestica
Spesso si pensa che il maltrattante sia un “pazzo, un malato di mente”. E’ questo il ragionamento operato dal senso comune.
Difficilmente si riscontrano cause psicopatologiche, come, ad esempio, le psicosi schizofreniche o deliranti, ma solo disturbi psicologici “normali” (frustrazioni, ansia, stress cronico, disturbo emotivo, da disregolazione emotiva e disturbo antisociale della personalità) che, tuttavia, non intaccano la volontà dell’agente di intendere e volere.
Il partner violento è quasi sempre lucido e agisce le sue condotte con consapevolezza e volontà.
L’abuso di sostanze, droga e alcool, accentuano ed aggravano condotte già preesistenti nel soggetto ma non rappresentano mai il motivo scatenante.
I fattori socio-economici, associati alla perdita di lavoro o alla difficoltà di avere stabilità economica, possono aumentare le condotte già violente del maltrattante, incidendo sui livelli di stress e frustrazione, in clima relazionale già teso e conflittuale.
Il fattore culturale è, pertanto, quello che più sottende alla questione della violenza domestica. Si rileva nei maltrattanti la credenza in valori e modelli arcaici, sessisti e patriarcali, che propongono una visione della relazione basata su prevaricazione, controllo, possesso e dominio da parte delle figure maschili su quelle femminili in ogni ambito di vita.
Conclusioni
Uscire dalla violenza è un percorso complesso e tortuoso. La donna vive questa fase con estrema preoccupazione, paura e difficoltà. La violenza sulle donne presenta un dato oscuro, legato al sommerso, ovvero a chi non ha ancora mai denunciato. Denunciare la violenza ed affidarsi al personale esperto e qualificato dei Centri Antiviolenza è il primo passo da fare.
Quando mancano le conoscenze e le informazioni è bene contattare il 1522, il numero nazionale dell’antiviolenza. Le operatrici che rispondono alle chiamate, in ogni momento della giornata, indicano il Centro Antiviolenza territorialmente competente e più vicino alla residenza della donna presso cui è possibile rivolgersi per chiedere aiuto e supporto.
I Centri Antiviolenza sono luoghi di accoglienza, gestiti da personale femminile altamente specializzato sul tema, che nell’ottica di genere, nel rapporto donna-donna, offrono:
-servizi gratuiti di ascolto e orientamento;
– sostegno psicologico e legale;
– orientamento alla formazione e al lavoro;
– mediazione linguistica e culturale per le donne straniere vittime di violenza;
– collocazione protetta in case rifugio e per donne vittime quando è elevato il rischio di vita.
L’unico modo per ridurre il fenomeno del femminicidio è chiedere aiuto. I panni sporchi non si lavano in famiglia e la violenza sulle donne “non è più un’affare di famiglia
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