L’alieno, la cinquantena, lockdown e Feltri

di Raffaele Scala

 

Con il 25 aprile, amara e triste Festa della Liberazione, abbiamo raggiunto, e ormai superato, i quaranta giorni di clausura forzata, dando senso, corpo e tante maledizioni alla quarantena. E pensare che questo termine, all’inizio, accese tante inutile discussioni sull’appropriato utilizzo di un lemma al tempo in cui ci eravamo illusi di un sacrificio limitato a 14 giorni. Ha senso, si diceva, parlare di quarantena, considerando il tempo limitato dell’isolamento imposto agli italiani? Inventiamone uno adeguato, si scriveva e si parlava nel battibecco quotidiano televisivo, utile solo a riempire di inutili chiacchiere  e più spesso controproducenti, fingendo di aiutare a trascorrere il tempo e a vincere la noia dello stare in casa, uccidendo soltanto l’intelligenza di chi si presta.

E invece, purtroppo, non soltanto la quarantena è stata consumata per intera, nel suo significato più ampio, ma l’abbiamo pure superata, per la gioia dei cento ciarlatani intrattenitori e di altrettanti  presunti  linguisti da salotti televisivi, intenzionati a tenerci inchiodati davanti all’antico, colorato, sempre più insulso focolare familiare sull’utilità o meno di utilizzare una definizione, un termine più adeguato. Qualcuno parlava di quindicena. E ora invece dovranno inventarsene un altro adeguato alla nuova situazione. Che so, chiedendo scusa all’Accademia della Crusca, l’invento al momento, la cinquantena, se non addirittura la sessantena

Quello che ora mi incuriosisce di più, in verità è di sapere quale sarà la nostra reazione quando finalmente potremo uscire e potremo camminare per strada senza sentirci osservati, criticati, impauriti dalla presenza di un vigile o dal passaggio dell’auto dei carabinieri. Spaventati perfino da chiunque altro ci si avvicini a meno di due metri, terrorizzati all’idea del contagio. Dopo quaranta e più giorni abbiamo finalmente capito, mi auguro, cosa dovesse significare vivere in un regime militare, sotto una dittatura, dove tutto è vietato, perfino uscire di casa. Chissà cosa ne pensano i nostalgici di quel tempo infame, le redivive Mussolini, i La Russa, i Salvini, le Meloni e i tanti altri che predicano la stessa nefasta ideologia, di quando potevi finire in un commissariato di Pubblica Sicurezza ed essere ammonito per aver semplicemente salutato un antifascista e al confino  soltanto per aver raccontato una barzelletta!

Sono tanti, anche troppi quelli che tentano in ogni modo di non dare più un senso all’Italia uscita dal Risorgimento, ancor meno alla nostra amata Repubblica nata dalla Resistenza, come se non esistesse uno Stato unitario. Di certo  si va perdendo, forse già perso, il Senso dello Stato, come se questo non fosse più un valore. Sarà per la bassa credibilità della classe dirigente, per il nanismo politico che trionfa nel nostro sempre più misero e miserabile Parlamento, per la nostra cronica incapacità di elettori di saper scegliere più degni rappresentanti, perché noi stessi ci siamo ormai abbruttiti e incattiviti, pronti a venderci al primo offerente, completamente privi di senso civico, sarà per tutto questo che siamo  riusciti a partorire un individuo di nome Vittorio Feltri.

A pensarci bene, in fondo, una tale specie umana la dobbiamo anche ringraziare, perché nonostante tutto, questo miserabile cialtrone di giornalaio, fiero della sua presunta superiorità di Settentrionale arricchito grazie al secolare sfruttamento del Meridione, con la complicità dei voltagabbana eletti nei collegi del Sud, è riuscito nel miracolo di farci indignare. Con le sue perle d’idiozia quotidiana ha unito quanto di buono e giusto si muove nel Nord e Sud del Paese provocando una giusta, legittima, indignata reazione di molti, di tanti intellettuali e non, dello stesso ex Regno lombardo veneto. La parta sana è consapevole –  a differenza dei troppi beoti della Padania convinti di essere cittadini di una terra eletta, di essere macchinisti di una potente locomotiva, forza motrice dell’economia nazionale ed europea, mentre il resto è zavorra abitata da fannulloni parassiti, se non camorristi e mafiosi – che altrettanto fondamentale è il Mezzogiorno nell’ingranaggio unico del mercato globale che non accetta più distinzioni. Come a dire, se una farfalla a Palermo sbatte le ali è possibile che avvenga una tempesta a Milano. Vallo a spiegare ai Feltri e ai mille razzisti come lui, che probabilmente nulla sanno del celeberrimo apologo di Menenio Agrippa.[1] Giustamente neanche erano nati 2.500 anni fa, cosa ne possono sapere questi buzzurri incravattati? E poi era un aborrito politico romano, non sia mai!

Quando tutto sarà, forse, finito, partendo dal prossimo 18 maggio – visto l’affondamento della fase due del giorno 4, ironicamente trasformata  in Fase una e mezzo dopo l’ultimo DPCM del 27 aprile di Conte (decreto Presidente Consiglio dei MInistri) –  o che sia il 28 giugno, quando l’ultimo contagio dovrebbe azzerarsi perfino nella  tragica, sfortunata terra lombarda, dobbiamo renderci conto che nulla potrà, dovrà, essere come prima, seppure  il potere costituito, chiunque esso sia, farà di tutto per riportare indietro nel tempo le lancette dell’orologio, a quel 20 febbraio quando ancora nulla era accaduto e nulla, o quasi, lasciava presagire l’imminente tragedia. Toccherà a noi, comuni mortali, semplici cittadini, inermi, fragili spettatori, diventare protagonisti, riappropriarci dei nostri sacrosanti diritti, far applicare la Costituzione più bella del mondo e magari andare oltre verso il nuovo mondo che bisognerà ricostruire con la tenacia che ci hanno insegnato i nostri padri costituenti, avere lo stesso coraggio dei partigiani che imbracciarono le armi, e in tanti perirono, per ridarci la perduta libertà, soffocata per venti lunghi anni dal fascismo venduto al peggior nazismo hitleriano, lo stesso che fece perire venti milioni di ebrei, e molte altre minoranze , nei forni crematori dei temibili campi lager.

Possiamo farcela. Se stiamo vincendo, e vinceremo, contro  un pericoloso alieno di nome covid19, nulla ci potrà impedire di andare oltre e conquistarci il nostro domani, magari – l’appetito vien mangiando – liberandoci non solo dei troppi, inutili, dannosi Feltri, ma anche – lasciatemi passare questo improvviso, ma sentito volo pindarico –  dai troppi anglicismi, tanto amati dai similfeltri, che hanno spadroneggiato nelle ultime settimane, da Covid center a lockdown, fino a smart working e tanti altri non meno odiosi, grazie  ad una classe politica e giornalistica  incapace di utilizzare la lingua nazionale per povertà culturale, nanismo intellettuale o semplicemente per servilismo linguistico.

Coraggio Italiani, da Predoi a Lampedusa, passando per la bella Castellammare di Stabia, il domani è nostro! Nonostante Feltri e chi la pensa come lui.

[1]Menenio Agrippa, console nel 503 a. C.  durante una delle prime lotte tra patrizi e plebei, intorno al 493 a. C. Riuscì a comporre il grave dissenso fra patrizi e plebei, quando questi attuarono una sorta di sciopero ante litteram riunendosi  sul Monte Sacro, incrociando, come si direbbe oggi, le braccia. In quel frangente Menenio  raccontò alla plebe il famoso apologo del ventre e delle membra, richiamandosi a una visione organicistica dell’ordinamento sociale, paragonando i plebei alle braccia e i nobili allo stomaco. Gli uni e gli altri ugualmente indispensabili alla sopravvivenza del corpo umano. Se le braccia smettessero di lavorare lo stomaco non si nutrirebbe, ma se lo stomaco languisse, le braccia non riceverebbero il necessario nutrimento. La plebe capito l’antifona riprese il lavoro interrotto.

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