Lavorare meno, lavorare tutti: rivedere e reinventare il lavoro in tempi di pandemia    

  di Floriana Mastandrea                                                                  

Il meglio del vivere sta in un lavoro che piace e in un amore felice Umberto Saba

Il lavoro conferisce dignità e rende liberi gli uomini, quantomeno da una serie di bisogni primari. Ma in tempi di coronavirus, di reclusione a casa, in cui molti hanno dovuto abbandonarlo, e non potranno riprenderlo a causa dei danni causati all’economia dalla pandemia, altri sono in cassa integrazione, e altri hanno utilizzato il telelavoro (smart working), come cambia il lavoro? Emerge una palese necessità di reinventarsi il lavoro, nelle forme e nei generi e, nell’urgente riassetto organizzativo della società: forse è davvero giunto il momento storico di applicare la formula “lavorare meno, lavorare tutti”, come già accade in alcuni evoluti Paesi del Nord Europa. Perché finalmente non se ne fa una generale regola anche in Italia e nel resto del mondo? Lavorare meno ore, consentirebbe di usufruire di tempo libero per la cultura, gli hobby, la famiglia: in ultima analisi, di dedicarsi al proprio benessere psico-fisico.
Breve storia della festa del lavoro
Le origini delle lotte per i diritti dei lavoratori risalgono alle manifestazioni operaie, iniziate nelle fabbriche americane dell’Illinois, durante la Rivoluzione industriale e guidate dall’Associazione dell’Ordine dei Cavalieri del Lavoro. A Chicago nel 1866, fu approvata la prima legge delle otto ore lavorative giornaliere, anche se entrò in vigore soltanto l’anno dopo, il 1° maggio 1867, allorquando fu organizzata un’importante manifestazione con almeno diecimila partecipanti.
La notizia raggiunse anche l’Europa, dove nel settembre del 1864, a Londra, era nata la “Prima Internazionale”, ovvero l’Associazione internazionale dei lavoratori vicina ai primi movimenti socialisti e marxisti dell’epoca. Le otto ore lavorative furono, con lenta gradualità, estese a tutto il territorio statunitense. A New York, il 5 settembre 1882 fu organizzata un’importante protesta. Nel 1884 in un’analoga manifestazione americana, gli stessi Knights of Labor approvarono una risoluzione, affinché l’evento di protesta avesse una ricorrenza annuale nell’Illinois. In occasione del 19° anniversario dell’entrata in vigore della legge sulle otto ore lavorative, la Federation of Organized Trades and Labour Unions, decise che entro il 1° maggio 1886, la legge fosse estesa all’intero territorio americano, pena lo sciopero generale dal lavoro a oltranza. In quel giorno, anche Chicago partecipò allo sciopero generale, in particolare la fabbrica di mietitrici McCormick. La polizia, per reprimere l’assembramento, sparò sui manifestanti, uccidendone due e ferendone altri. Per protesta contro la brutalità delle forze dell’ordine, gli anarchici locali organizzarono una manifestazione nell’Haymarket Square, la piazza che ospitava il mercato delle macchine agricole. Il culmine delle manifestazioni fu il 4 maggio, quando una bomba provocò la morte di sei poliziotti e il ferimento di una cinquantina, tanto che la polizia sparò sui manifestanti. Non si è mai saputo né il numero delle vittime, né chi sia stato a lanciare la bomba, ma fu il primo attentato alla dinamite nella storia degli Stati Uniti. Non appena si diffuse in Italia la notizia dell’uccisione degli anarchici americani, nel 1888 il popolo livornese, si rivoltò prima contro le navi statunitensi ancorate nel porto e contro la Questura della città, dove pareva si fosse rifugiato il console degli Stati Uniti. Soltanto dopo decenni di battaglie operaie e lotte sindacali, le otto ore lavorative, sarebbero state dichiarate legali, con il Regio decreto legge n.692 del 1923. In Europa, la Seconda Internazionale riunita a Parigi nel 1889, ufficializzò il 1° maggio come data festiva: in Italia fu ratificata solo due anni dopo. Tra le prime documentazioni filmate della festa in Italia, il documentario del produttore cinematografico Cataldo Balducci, Grandiosa manifestazione per il 1° maggio 1913 ad Andria (indetta dalle classi operaie), in cui si vede il corteo che percorre le strade affollate della città: gli uomini, tutti con il cappello, seguono la banda che suona, con alcune bandiere.                                                    Durante il ventennio fascista, dal 1924, la celebrazione fu anticipata al 21 aprile, in coincidenza con il Natale di Roma, tanto il giorno festivo fu denominato “Natale di Roma – Festa del lavoro”. Dopo la fine del conflitto mondiale, nel 1945, il giorno festivo fu riportato al 1° maggio. Un evento funesto, l’eccidio di Portella della Ginestra, macchiò di sangue la festa del 1° maggio 1947: la banda criminale di Salvatore Giuliano, sparò su un corteo di circa duemila lavoratori in festa, uccidendone quattordici e ferendone una cinquantina.
Dal 1990, i sindacati confederali CGIL, CISL e UIL, a Roma, in Piazza San Giovanni in Laterano, organizzano un grande concerto per il 1° maggio dedicato soprattutto ai giovani, trasmesso in diretta televisiva dalla Rai. Quest’anno, lo show intitolato, Il lavoro in sicurezza: per costruire il futuro, si svolgerà tra l’Auditorium Parco della Musica di Roma e varie location sparse per l’Italia, tra cui Taranto. Sarà trasmesso su Rai3 e Rai Radio2 dalle 20. Segnaliamo su Rai Uno, in prima serata (ore 21,25) Pane e libertà, fiction dedicata a Giuseppe Di Vittorio, l’uomo che dedicò la sua vita alla difesa dei diritti dei lavoratori. Da non perdere!

 

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