di Tonino Scala
Come ogni anno è arrivato il 25 aprile e, come da tradizione, non potevano mancare le polemiche.
Quest’anno a partecipare ad un balletto insulso e fuori luogo, è addirittura la seconda carica dello Stato, il Presidente del Senato. Vorrei ribadire una cosa banale, ogni cittadino italiano dovrebbe, dopo tanti anni da quel lontano ma vicino aprile del 1945, sapere che il 25 aprile non è una festa rossa.
Non è una festa di parte. Di una parte del Paese.
È la festa di tutti gli italiani.
Il 25 aprile è una festa di tutti.
La Festa della Liberazione è l’unico momento di memoria collettiva, in cui tutto il Paese si raccoglie per celebrare la fine del regime dittatoriale fascista e il trionfo dei valori di libertà e democrazia.
Ricordo a me stesso che le Brigate partigiane erano composte da antifascisti con militanti provenienti dai più disparati gruppi politici. In comune avevano l’avversione al fascismo, a Mussolini, alla dittatura. Non c’erano solo le famose Brigate Garibaldi, organizzate dal Partito Comunista Italiano. C’erano anche le formazioni di Giustizia e Libertà, coordinate dal Partito d’Azione, le Brigate Fiamme Verdi, nate da ufficiali alpini ma legate alla Democrazia cristiana ed anche le formazioni azzurre, monarchiche e badogliane.
Considerarla come una festa di parte altro non è che il fallimento del processo di riconciliazione del dopoguerra. Un motivo però c’è. L’Italia a differenza di altri paesi non utilizzò il sistema penale, ma l’amnistia per ricostruire un Paese spaccato. Sì, perché innegabile dirlo: l’Italia è stata per un ventennio fascista. Bisognava trovare un modo per riconciliare un paese spaccato.
Una scelta che condivido, sia chiaro, dietro la quale si leggeva la volontà politica di prediligere la pacificazione sociale alla vendetta.
I vincitori preferirono la rimozione del passato fascista, in nome della riconciliazione nazionale e la ricostruzione di un Paese distrutto dalla guerra. Purtroppo la memoria collettiva e condivisa tra le due parti del conflitto non è mai stata creata e il paese è rimasto diviso quando addirittura il Presidente del Senato afferma certe cose.
La Costituzione italiana, anche se Ignazio La Russa pensa altro, è antifascista. Basta leggerla e soffermarsi sulle disposizioni transitorie e finali. La XXII recita:
“È vietata la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista. In deroga all’articolo 48, sono stabilite con legge, per non oltre un quinquennio dalla entrata in vigore della Costituzione, limitazioni temporanee al diritto di voto e alla eleggibilità per i capi responsabili del regime fascista.”
Nonostante la transizione a democrazia, il silenzio, l’occultamento di crimini e l’assoluzione da responsabilità hanno fatto sì che non ci sia mai stato una vera e profonda rottura con il regime fascista.
Il resto son chiacchiere da bar e non voler accettare ciò che ci ha consegnato la storia: il fascismo non è un’opinione ma un reato.
W il 25 aprile, w la resistenza grazie alla quale anche i fascisti possono continuare a parlare.
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