Luigi Di Martino, un partigiano di Castellammare di Stabia

 

di Raffaele Scala

 

 

Nato a Castellammare di Stabia l’11 novembre 1897 da Giovanni e da Giulia Fabboni, Luigi Di Martino fu una delle più belle e carismatiche figure del movimento operaio stabiese, irriducibile antifascista fin dal suo avvento, coerente fino all’autolesionismo, visse in povertà, ma con grande dignità, la sua esistenza di operaio e di militante comunista. Franco Ferrarotti nel suo bellissimo libro, La piccola città, raccolse la sua autobiografia, di cui, di seguito, riprendiamo il brano d’apertura:

 

Sono figlio di un misero marinaio navigante sui battelli a vela che scaricano materiale per la Sicilia e stava mesi interi senza guadagnare il becco di un quattrino. La vita si svolgeva nella più squallida miseria. La nutrizione erano fagioli e pastasciutta alla domenica e nella stagione estiva, che guadagnava di più, si vedeva il vino e qualche pezzetto di carne. (…), mia madre faceva la lavandaia. Qualche sorella andava a servire (…). All’età di 10 anni cominciai a lavorare ai Cantieri Mercantili per la costruzione di navigli in legno. Prendevo 4 soldi al giorno. Si cominciava alle sei del mattino e si finiva quando il sole era scomparso. Quando c’era da preparare il legname per i lavori del giorno successivo, anche dopo il tramonto del sole, sino alle 21 di sera…[1]

 

Era questa la vita quotidiana dei tanti figli del popolo, dalla quale Luigi cercò di riscattarsi avvicinandosi al socialismo, rivendicando il diritto alla pace e ripudiando la guerra che stava insanguinando il mondo intero, ma non per questo venne meno la chiamata alle armi, il 20 giugno 1917 e arruolato nella Regia Marina. Il padre, per evitargli il fronte, dal quale ben 500 stabiesi non fecero più ritorno, riuscì a procurargli un libretto di navigazione e ad imbarcarlo sulla sua stessa goletta.  Dopo alcuni mesi di navigazione gli fu chiesto di arrivare a Cagliari per imbarcare un carico di formaggi, ma il padre sapendo quando fosse pericoloso quel tratto di mare, infestato dai sommergibili tedeschi, lo obbligò a sbarcare salvandogli in questo modo, probabilmente, la vita. La goletta fu infatti attaccata e affondata dai tedeschi e in quattro persero la vita, mentre il padre riuscì fortunatamente a salvarsi. La sua biografia è a questo punto confusa nei ricordi. Fu mandato a Taranto per un corso da cannoniere, arruolato nel battaglione Pardi e inviato sul Piave. Successivamente, o viceversa, fu assegnato nella Ferriera del Vesuvio di Torre Annunziata, fabbrica in quella fase militarizzata. Incapace di sopportare la dura disciplina, litigò con un capo reparto e se ne ritornò a casa, come se nulla fosse. Arrestato dai carabinieri fu condannato a due mesi di detenzione che scontò nel carcere di Poggioreale. Di certo nel suo fascicolo personale redatto dalla polizia politica risulta arrestato il 16 dicembre 1917 dai carabinieri di Scanzano in esecuzione di un mandato di cattura emesso dall’ufficiale istruttore presso il Tribunale di Napoli, per scontare un residuo di due mesi di carcere militare.[2]

Comunque sia andata, alla fine di questo percorso fu congedato e assunto nel Regio Cantiere navale, aderendo al Partito Comunista e partecipando alle formidabili lotte del biennio rosso culminate nell’occupazione delle fabbriche del settembre 1920.

La sua figura politica comincia ad emergere sulle altre il 10 giugno 1924, una domenica, quando si diffuse la notizia del rapimento del parlamentare socialista, Giacomo Matteotti. Sull’onda dello sdegno che colpì l’Italia intera, Luigi Di Martino con altri militanti antifascisti, in segno di protesta, tentò di impedire il proseguimento della musica da parte dell’orchestrina che si esibiva sulla Cassa Armonica in villa comunale. L’azione non poté rimanere senza conseguenze e la stessa sera una squadra di fascisti invase la sua casa, provocando platealmente le sorelle e successivamente costrette a seguirla, con Luigi, in commissariato. Furono trattenuti per poco tempo, con chiaro intento intimidatorio e poi rilasciati, accompagnati dal consiglio del commissario di polizia di andare subito a casa per evitare d’incontrare nuovamente le temibili e arroganti camice nere.

L’episodio portò alla ribalta nuove e vecchie leve di militanti. Con il giovane Luigi,  destinato ad assumere un ruolo da protagonista nel fronte antifascista a Castellammare, pagando a caro prezzo la sua militanza, altri giovani che avevano partecipato alla clamorosa protesta antifascista, capirono ben presto cosa significava opporsi al nuovo regime, subendo fermi di polizia e aggressioni da parte delle squadre fasciste non appena s’incontravano per strada, come accadde a Catello Martorano, al venditore ambulante Gennaro Attanasio e al carpentiere del Regio Arsenale, Vincenzo Giordano.. Passò solo qualche mese, il fascismo non si era ancora trasformato in regime, ancora resisteva un barlume di democrazia, quando il Presidente del Consiglio, Benito Mussolini venne a fare visita al più celebre cantiere navale del Mezzogiorno, consentendo agli operai del Regio Cantiere di accoglierlo freddamente, con gelo, addirittura lasciandosi andare a qualche fischio di riprovazione. Era il 16 settembre del 1924. Ancora nei primi giorni di settembre del 1925 fu possibile organizzare una riunione in una scuola di Rovigliano tra Bordiga e Gramsci, alla quale parteciparono tutti i maggiori esponenti del comunismo dell’area torrese stabiese, tra cui Pietro Carrese, Catello Bruno ed Espedito Lambiase. Non è accertata la presenza di Luigi Di Martino, né lui fece mai menzione di questo episodio. Poi tutto divenne più difficile e il Tribunale Speciale cominciò a mandare in galera e al confino di polizia, migliaia di antifascisti, tra cui i capi riconosciuti del movimento operaio stabiese come Antonio Cecchi, Vincenzo Giordano, Giovanni D’Auria, Catello Esposito, Achille Gaeta ed altri.

Con l’instaurarsi della dittatura e la cancellazione delle libertà politiche e sindacali, la chiusura della stampa di opposizione e l’invio al confino dei dirigenti e militanti di sinistra più esposti, cominciò il lavoro clandestino degli antifascisti e nel cantiere navale ci si incontrava per scambiare opinioni nei locali di bordo, nei doppi fondi, nei cunicoli della centrale elettrica del Cantiere e quando si era fuori si facevano gite in barche, escursioni sui boschi di Quisisana. Di tanto in tanto si riusciva perfino a recuperare qualche copia clandestina dell’Unità, fino a quando gli arresti non smantellarono il Centro, diretto dai dirigenti provinciali del Partito, bloccando anche il flusso d’informazioni. Una tipica giornata di prevenzione fascista fu vissuta la mattina del 19 settembre 1926, una domenica. Il primo a cadere in uno dei tanti controlli senza regole della milizia del regime fu Vincenzo Giordano, tratto in arresto mentre era al Caffè Napoli e portato in questura per essere interrogato e infine portato in carcere. Stando alla cronaca del quotidiano comunista l’arresto fu dovuto al rifiuto del militante comunista di sottostare “a un’intimidazione arbitraria”. Nella stessa giornata fu arrestato il contadino Federico D’Aniello, sequestrandogli 125 lire, frutto di una sottoscrizione operaia a favore del giornale fondato da Antonio Gramsci. D’Aniello, ammogliato con sei figli, era un operaio dei Cantieri Metallurgici, già fermato ed arrestato in occasione del 1° maggio di quello stesso anno perché a seguito di una perquisizione fu trovato in possesso di alcuni manifestini. Successive indagini portarono all’arresto degli altri militanti della cellula comunista, Enrico Giuseppe D’Aniello, Carmine Menduto, Vincenzo Ruocco e lo stesso Luigi Di Martino.

Bisognerà però attendere il 1936 perché un nuovo nucleo comunista, mostri il proprio ingenuo coraggio e tentare, con maggiore audacia, di ricostruire nella clandestinità, una nuova cellula del Partito, composta da una quindicina di militanti, ancora una volta guidati dall’indomito Luigi. Il gruppo decise di passare all’azione con l’avvicinarsi del 20 gennaio, la data dell’assalto fascista di Piazza Spartaco nel 1921, al Municipio amministrato dal socialista Pietro Carrese, poi passato al PCd’I, diventando protagonista della più importante iniziativa antifascista messa in piedi durante il regime e nel momento di massimo consenso al duce Benito Mussolini.

 

In Castellammare di Stabia è citato nella sentenza di condanna del Tribunale nel 1935 e nei primi di gennaio 1936, Martorano, Di Martino, De Rosa e Marano, in alcuni incontri, anche fuori dell’abitato, si erano manifestate le comuni idee sovversive ed antifasciste ed avevano stabilito di compilare e diffondere manifestini di propaganda nella ricorrenza annuale di un conflitto politico avvenuto il 20 gennaio 1921 in detta cittadina. Dell’acquisto di caratteri di gomma occorrenti, della compilazione e della riproduzione dei manifestini, si occuparono gli intellettuali del gruppetto e cioè gli studenti Marano e De Rosa, della diffusione il Martorano. Tutti sotto le direttive del vecchio sovversivo Di Martino. Nella notte sul 20 gennaio, infatti, numerosi manifestini di propaganda (…) contenenti espressioni di propaganda sovversiva e volgarissime offese al Capo del Governo, furono diffusi per opera dei predetti in Castellammare, e, rinvenuti, poi, da buoni cittadini furono recapitati alle autorità.

 

 A trovare i fogli, nella tarda serata del 19 gennaio erano stati alcuni avanguardisti, Raffaele Polichetti, Domenico Baffone, Antonio Mele e Oreste Inserra, i quali raccolsero i volantini su cui era scritto, W il socialismo, abbasso Mussolini, W la libertà, abbasso la tirannia e così via. Informato, Arnaldo Fusco il temibile Segretario politico del fascio locale e, subito dopo, commissariato di pubblica sicurezza e carabinieri, furono immediatamente disposti servizi di perlustrazione alla ricerca di altri volantini. Ne furono trovati diversi nei pressi dell’area industriale e di alcuni orinatoi pubblici, contemporaneamente le forze dell’ordine perquisirono le case di numerosi antifascisti e fermarono vari sovversivi locali e operai dei Cmi e del Regio Cantiere sui quali gravavano sospetti. A mettere le autorità giudiziarie sulla buona strada fu la camicia nera, Gaetano Santaniello, il quale la mattina del 20 gennaio, incontrando nel Cantiere navale, Nunziante Martorano, colse alcune sue frasi sospette. Portato in caserma e interrogato, l’operaio non riuscì a resistere molto ammettendo le sue responsabilità e facendo i nomi dei compagni, a loro volta arrestati.[3] Complessivamente ci furono undici arresti, ma soltanto in sei arrivarono in tribunale e in cinque a subire dure condanne nella sentenza emessa dal Presidente, Gaetano Le Metre, il 9 dicembre 1936: Luigi Di Martino, Francesco Marano (1915 – 2014) e Giuseppe De Rosa (1912 – 1986) ebbero 8 anni di carcere per offese al Capo del Governo e propaganda sovversiva, Nunzio Martorano se la cavò con sei anni e Guglielmo Perez con cinque, Roberto Vingiano fu assolto per insufficienza di prove. Il primo ad uscire dal carcere fu Guglielmo Perez, il 6 marzo 1939, dopo aver scontato tre anni nel carcere di Castelfranco Emilia, seguirono gli altri, scarcerati nel gennaio 1941, avendo usufruito di un’amnistia di tre anni. [4]

Ecco come nella sua già citata autobiografia Luigi ricorda i giorni successivi all’arresto:

 

 

Vi furono alcuni fascisti di Castellammare che si fecero promotori di una pubblica petizione, chiedendo per noi la pena di morte (…). Ricordo il calvario delle nostre famiglie, le loro dolorose preoccupazioni, convinte che i fascisti ci avessero accoppato. Il 24 gennaio 1936 ci spedirono al carcere di Poggioreale (…), nel mese di settembre partimmo da Poggioreale e ritrasferirono al carcere di Regina Coeli a Roma. Dopo 11 mesi di segregazione, il 9 dicembre dello stesso anno fummo processati e condannati (…), il 26 fummo spediti ai reclusori per espiare la pena. Io fui assegnato al reclusorio di Fossano. Nell’aprile del 1938 mi trasferiscono al reclusorio di Civitavecchia dal quale fui liberato il 21 gennaio 1941.3

 

            Rientrato a Castellammare, riprese i contatti con il Partito e a riorganizzare i compagni in attesa degli eventi più favorevoli. La stanchezza per la guerra, il razionamento del pane e degli alimenti più indispensabili, la fame aveva già portato a diverse manifestazioni di donne del popolo inferocite contro il regime e un’altra ci fu nel febbraio 1942. Il 25 luglio 1943 la caduta del Duce fece precipitare gli eventi e già a Torre Annunziata in agosto gli operai dell’Ilva, la vecchia Ferriera del Vesuvio, erano entrati in sciopero manifestando contro la guerra. Toccava ora all’altra isola rossa, a Castellammare, mostrare il dissenso e questo avvenne il 1° settembre con gli operai delle diverse fabbriche cittadine che attraversarono in corteo la città fino a quando non furono accerchiati e affrontati dai militi delle diverse forze.

 

Io e alcuni compagni incominciammo a guidare la manifestazione in quelle strade dove lo schieramento delle forze dell’ordine non erano riusciti a bloccarle. Partimmo da Piazza Ferrovia ed arrivammo a condurle sino al centro di Castellammare, manovrando strategicamente da sfuggire all’accerchiamento. La manifestazione mise in agitazione il popolo di Castellammare. Arrivati all’altezza di Piazza Quartuccio fummo arrestati, io il compagno D’Auria Giovanni, Luigi Acanfora ed altri. Trasferiti al carcere locale fummo denunziati al Tribunale marziale per insurrezione contro i poteri dello stato, sotto il governo Badoglio. Dopo 17 giorni di detenzione una folla enorme composta in maggioranza da donne si presenta al carcere a reclamare la nostra scarcerazione. Il pretore sotto la minaccia della folla fu costretto a farci scarcerare, convinto che se i tedeschi avessero individuato i fautori della manifestazione li avrebbero senz’altro fucilati. Io di notte tempo varcai le nostre montagne con alcuni compagni4

 

L’arrivo degli alleati con la concomitante partenza dei tedeschi consentì da subito la ricostruzione della democrazia, almeno nel Mezzogiorno d’Italia. Si ricostituirono i partiti e la Camera del lavoro, quella di Castellammare fu una delle prime, con Scafati e Torre Annunziata, aperte e funzionanti già in quel tardo autunno del 1943. Alla guida del Pci fu eletto Giovanni D’Auria, mentre Antonio Cecchi riassumeva l’antica carica di Segretario cittadino dell’organizzazione sindacale, già rivestita nel lontano 1919. Luigi, invece, rientrò nei Cantieri navali assumendo l’ambita carica di Segretario della Commissione Interna. In giro si respirava aria di libertà nonostante l’enorme miseria, l’occupazione delle forze Alleate, la disoccupazione dilagante e il fenomeno delle “segnorine” e dei “sciuscia” portato all’esasperazione.

 

L’euforia per la riconquistata libertà sembrò rafforzarsi con le elezioni amministrative del 7 aprile 1946, portando la vittoria della sinistra guidata dalla mitica figura di Pasquale Cecchi, già protagonista dei fatti di Piazza Spartaco il 20 gennaio 1921, all’epoca della prima giunta rossa della storia stabiese e perseguitato dal regime lungo tutto il ventennio. E in consiglio entrò il meglio dell’antifascismo cittadino, dal carismatico patriarca, Pietro Carrese, a Francesco Marano, da Luigi Di Martino, a Luigi Blundo, fino a Catello Esposito, soprannominato, Catello Bandiera rossa, nel Pci fin dalla sua fondazione, guardia rossa al tempo dell’occupazione delle fabbriche nel settembre 1920, imputato nei fatti di Piazza Spartaco e condannato a tre anni di confino a Ventotene nel 1936. Non mancavano nomi prestigiosi del Partito Socialista, come Raffaele Guida e Ferdinando Di Somma, poi scomparso il successivo 21 agosto 1947. Il primo, in particolare, aveva una limpida e lunghissima militanza di dirigente del movimento operaio: nato a Castellammare nel 1888, andò a lavorare a 14 anni nei Cantieri Mercantili. A 16 anni fu assunto come garzone nel Regio Cantiere, dove guadagnava 40 centesimi a giornata. Chiamato alle armi combatté in Libia rimanendovi quattro anni e partecipando all’occupazione di Tripoli. Rientrato a Castellammare, tornò a lavorare nei Cantieri Navali.  Iscrittosi al PSI nel 1918, divenne Segretario della Fides (Federazione Italiana Dipendenti Statali), organizzazione aderente alla Camera Confederale del Lavoro ricostituita nel 1919. Eletto consigliere comunale nelle elezioni amministrative del 31 ottobre 1920, ricoprì la carica d’assessore e fu coinvolto nei fatti di Piazza Spartaco, rimanendo in carcere per diversi mesi. Sottoposto a sorveglianza per tutto il periodo fascista, tornerà alla guida del movimento operaio nel dopoguerra, ricostituendo la sezione del Partito Socialista, di cui sarà il primo Segretario. Responsabile della Commissione Interna nella Navalmeccanica, rimarrà in consiglio comunale per quattro consiliature. Scompare nel 1967, a 79 anni.

 

Raccontare l’epopea del secondo dopoguerra è questione particolarmente complessa, una storia ricca di avvenimenti ancora tutta da scoprire e da scrivere, con le sue debolezze e grandezze. Di certo è in quegli anni duri che nasce la leggenda del movimento operaio stabiese, al punto da meritare il titolo di Stalingrado del Sud. Nell’asprezza di un tempo difficile, carico di tensioni politiche e sociali, non privo di sanguinose violenze, ma pur ricco d’illusioni e speranze, Castellammare seppe difendere con i denti e con le unghie i diritti dei lavoratori, riuscendo a conquistarne di nuovi, attraverso formidabili lotte e portare al governo della città il primo sindaco comunista del dopoguerra, il maestro e direttore didattico, Pasquale Cecchi. Una classe operaia orgogliosa della sua appartenenza politica, della storia di cui si sentiva parte e protagonista, pronta ad invadere le strade cittadine alla notizia del ferimento di Palmiro Togliatti, il 14 luglio 1948, provocando disordini assai simili ad un’insurrezione.

Così l’arsenalotto Luigi Di Martino ricorda nelle sue memorie, con linguaggio forse eccessivamente retorico, questa prima eroica fase:

 

La classe operaia di Castellammare impegna tutte le sue energie a ricostruire le industrie rase al suolo dai tedeschi nella propria ritirata. Questa è la breve epoca, forse, la sola in cui gli industriali sostituiscono il bastone fascista con gentili sorrisi e calorose strette di mano ai componenti delle Commissioni Interne e dei Consigli di Gestione. La collaborazione della classe operaia è indispensabile per la ricostruzione delle fabbriche e dei cantieri distrutti.[5]

 

Seguirono le elezioni per la nomina dei deputati alla Costituente e il concomitante referendum istituzionale del 2 giugno per decidere fra Repubblica e Monarchia. In Campania, Castellammare di Stabia e Torre Annunziata si rivelarono, ancora una volta, isolotti repubblicani in un mare monarchico. [6] In Campania (76,5%) e nel Mezzogiorno (63,8%) dove pesava il mancato sviluppo economico e sociale e si faceva sentire l’assenza di una diffusa industrializzazione, con la permanenza nelle campagne di rapporti precapitalisti, la chiesa apertamente filofascista e schierata con la monarchia, era entrata prepotentemente nella campagna elettorale, vigilando sul voto con la sua fitta rete di parrocchie, conventi, monasteri e associazioni giovanili, influenzandola non poco. La chiesa agiva su un popolo in larga misura già di per sé tradizionalmente favorevole al mantenimento dello status quo, impaurito di un salto nel vuoto difficile da capire e per altro verso intimidito dalla schiera di notabili, già monarchici e fascisti, candidati nella Democrazia Cristiana. A queste condizioni il voto a favore del Re, ma potremmo dire delle gerarchie ecclesiastiche, dei baroni e dei notabili, i veri ed unici possessori del potere reale, fu plebiscitario. Nelle province d’Avellino e Caserta in nessun comune si affermò il voto repubblicano e soltanto in otto superò il 40%, nel beneventano furono solo tre e nel salernitano quattro, i comuni dove il referendum fu favorevole alla Repubblica. In provincia di Napoli la monarchia ottenne tra l’80 e il 100% in ben 44 comuni, tra il 70 e l’80% in altri 27. Nei restanti vinse per la rotta della cuffia ad esclusione di Torre Annunziata. In una parola trionfò in 71 municipi su un totale di 85. I pochi centri dove si poteva vantare un consistente voto a favore della Repubblica, grazie alla presenza attiva di una classe operaia in grado di contrastare la marea bianca, si contavano sulle dita delle mani. Tra questi, oltre Torre Annunziata e Castellammare ci fu Boscotrecase, per citare uno dei comuni dell’area torrese stabiese. [7]

Alla sconfitta elettorale, con la caduta di tante illusioni, seguì come una frustata insopportabile, l’attentato di Antonio Pallante al Segretario generale del PCI, Palmiro Togliatti, il 14 luglio. Appena si diffuse la notizia si mobilitarono i comunisti delle fabbriche e tra queste la navalmeccanica stabiese, dove Di Martino radunò le maestranze:

 

(…) trattenendo a stento l’emozione di cui ero pervaso e comunico il ferale avvenimento. Gli operai, piangenti, senza attendere alcuna direttiva abbandonano il lavoro e si riversano sulle strade di Castellammare incontrandosi con quelli degli altri stabilimenti. A loro si uniscono i cittadini di Castellammare, in un baleno i negozi chiudono. Incomincerà così una sfrenata manifestazione di protesta e di dolore. La celere e i carabinieri che tentano di fermarla sono travolti dalla sua violenza, alcuni celerini conosciuti per la loro tracotanza sono isolati e bastonati a sangue, a stento riusciamo a salvargli la vita. Gli operai sono padroni della piazza. Solo quando ci pervengono le direttive dal centro che ci comunicano che l’insurrezione è disapprovata e che bisogna ristabilire la normalità, gradualmente si riprende il lavoro[8]

 

            L’uscita dei comunisti dal governo, tappa obbligata per ottenere gli aiuti americani e la sconfitta del 18 aprile 1948 da parte del Fronte Popolare, chiusero la fase di transizione del dopoguerra in cui sembrava fosse possibile costruire una società diversa. La due giorni di guerriglia urbana a seguito del colpo di pistola contro Togliatti furono il colpo di coda di una impossibile rivoluzione e aprirono gli occhi ai moderati, se non ai reazionari, facendo decidere quale strada dovevano imboccare i governi a guida democristiana. I successivi arresti di massa in tutta Italia furono il segnale chiaro ed inequivocabile che non era più consentito giocare alla rivoluzione e nelle fabbriche i dirigenti ripresero il comando dell’organizzazione, in qualche modo tolto dalla forzata e quasi imposta collaborazione con i Comitati di gestione. Si ricominciò quindi con i licenziamenti, ben 1.453 nel 1948 in tutta la provincia, nel solo settore metalmeccanico. E da questo scenario cupo, di ristrutturazione dell’apparato produttivo, della sua riconversione e riorganizzazione, in nome dei quali si giustificarono i più disparati licenziamenti, occultando in questo modo anche quelli politici, non potevano rimanere fuori i cantieri navali. Ancora una volta lasciamo la parola a Luigi Di Martino:

 

Alla fine del 1948 si era diffusa la voce che nel nostro cantiere si doveva effettuare la riduzione del personale (…), si devono licenziare 400 unità (…) si escogitano diverse forme di azione, dallo sciopero continuativo alla interruzione momentanea di lavoro. Per la prima volta esperimentiamo lo sciopero a singhiozzo. Questa lunga lotta durata parecchie settimane doveva concludersi con esito negativo perché non si trattava di piegare un industriale o una direzione d’azienda, ma assieme alla direzione generale del complesso navalmeccanico, l’apparato dello stato ed il governo che aveva imposto i licenziamenti…

 

            Nel giugno 1952 contro la decisione prefettizia di sospendere il sindaco comunista, Pasquale Cecchi, dalle sue funzioni, la Camera del Lavoro guidata dal comunista Raffaele Signorelli, proclamò lo sciopero generale. In tutte le fabbriche nei giorni precedenti si tennero assemblee informative sui motivi dello sciopero, ma la Navalmeccanica non volle concedere l’autorizzazione per questa assemblea. Luigi Di Martino non si perse d’animo e decise di proclamare comunque la riunione con i lavoratori, provocando la contemporanea reazione aziendale con il licenziamento immediato, avvenuto il 21. Scioperi di protesta e manifestazioni da parte dell’intero movimento operaio stabiese non furono sufficienti a far recedere la direzione dalla decisione assunta. Perfino i dipendenti delle Antiche Terme scioperarono compatti, ma inutilmente.

Il 21 giugno 1952 ricominciava l’odissea per il vecchio rivoluzionario, dopo otto anni di lavoro, di relativa tranquillità economica, un nuovo licenziamento con sei familiari a carico, come era già accaduto nel 1936, ma allora i figli erano soltanto due. L’organizzazione sindacale gli venne incontro nominandolo Segretario della Fiom di Castellammare, la potente organizzazione sindacale dei metalmeccanici della Cgil, e in tale veste guidò lo sciopero contro la legge truffa del 29 marzo 1953. L’intervento della celere provocò 13 arresti tra cui Luigi Alfano, Segretario della Commissione Interna dell’AVIS, Vincenzo Esposito, Segretario della Commissione Interna dei CMI, Raffaele Signorelli, Segretario della Camera del Lavoro, Vincenzo Somma, Segretario cittadino del PCI, Luigi D’Auria dipendente della CGIL, Colomba Somma e, naturalmente, Luigi Di Martino.

Cambiano i regimi ma non la polizia che ha continuato a schedare i militanti di sinistra e in particolare, comunisti e anarchici, inserendoli nel Casellario Politico Centrale, il famigerato CPC creato dai sabaudi alla fine del 1800 e perfezionato dal regime fascista per schedare tutti gli oppositori. Tra i militanti di sinistra del nostro circondario inseriti nel CPC della Repubblica nata dalla Resistenza ricordiamo la pasionaria Colomba Di Somma (1920 – 1959) e più complessivamente sottoposti a continua raccolta di informazioni sul loro conto, in quanto ritenuti persone potenzialmente pericolose per l’ordine pubblico e l’ordinamento democratico, il socialista Michele Vollono, gli operai comunisti, Salvatore Aiello, Catello D’Auria e Vincenzo Bisogni, Sebastiano e Pasquale Strasso, il vecchio Filippo Russo, Biagio Bonzano, i fratelli, Oscar e Nino Gaeta e altri non ancora resi pubblici. Tra gli inseriti in questi fascicoli anche due segretari della Camera del Lavoro stabiese, Raffaele Signorelli controllato tra il 1949 e il 1960 e Vincenzo Cavuto dal 1951 al 1964.

Nell’elenco dei sorvegliati non poteva naturalmente mancare l’irriducibile Luigi Di Martino, sorvegliato da luglio 1951, su proposta del Prefetto di Napoli, e fino alla morte, in quanto “Fanatico assertore dell’ideologia marxista, comunista violento e pericoloso per l’ordinamento democratico dello Stato”. La richiesta, redatta il 27 luglio 1951, era accompagnata da una dettagliata biografia politica e sulla sua situazione familiare ed economica, che recitava:

 

E’ nullatenente – E’ operaio da vari anni, come operaio meccanico, nei Cantieri della Navalmeccanica di Castellammare di Stabia – conduce un tenore di vita modesto, corrispondente esattamente al reddito apparente.[9]

 

E così, da quel momento, dalla Questura di Napoli pervennero alla Direzione Generale delle Pubblica Sicurezza, Divisione Affari Riservati, presso il Ministero dell’Interno, rapporti periodici sull’attività politico sindacale e sui movimenti del nostro presunto, pericoloso rivoluzionario comunista stabiese. In questo modo furono diligentemente annotate le terroristiche azioni del sovversivo Di Martino. Fra le altre notizie furono registrate: il suo licenziamento a seguito della riunione tenuta per organizzare la protesta contro il generale Ridgwaj, la sua partecipazione al congresso nazionale della Fiom tenuto a Livorno dal 1° al 5 settembre 1952, l’arresto avvenuto il 30 marzo 1953 a seguito dello sciopero generale contro la legge truffa, la denuncia alle autorità giudiziarie per avere distribuito abusivamente un volantino non autorizzato nel giugno 1955.

Il 13 aprile 1960 chiese e ottenne il passaporto valido per la Svizzera, la Francia, l’Austria e l’URSS, in quest’ultimo caso, limitatamente ad un solo viaggio, con autorizzazione del 27 aprile. Il successivo 13 maggio partì per la Russia con altri 28 vecchi comunisti, in gita premio organizzata dal Pci e ospiti della patria socialista, rientrando a Castellammare giusto un mese dopo, un viaggio che valeva una vita di sacrifici e di cui essere orgogliosi per il resto della propria esistenza, raccontando mille aneddoti ai tanti compagni che chiedevano e s’informavano sulle condizioni di vita dei compagni sovietici, di come si stava in fabbrica, di come si viveva nelle case. Naturalmente per quello che era consentito sapere, considerando le strette maglie della sorveglianza che nulla lasciava trapelare se non quello che conveniva al rigido, pericoloso regime rosso di Mosca.

Nell’aprile 1961 andò in Francia per pochi giorni, il tempo di fare una visita ad alcuni parenti che vi risiedevano da anni. Fu il suo ultimo viaggio all’estero, gli anni passavano ma, integra rimane la sua fede comunista, come sottolineò il questore Cappelli nella sua periodica relazione per il Ministero dell’Interno il 9 settembre 1963. Ancora nel 1966 venne annotata la sua partecipazione al VII congresso nazionale della Federazione Pensionati Italiani (SPI), la potente categoria dei pensionati iscritti alla Cgil, che si tenne a Modena in luglio.

Il suo viaggio non passò inosservato e infatti fu accompagnato da una relazione della prefettura di Napoli in cui si scriveva:

 

(…) Aderisce al Pci, di cui è un fervente sostenitore, ricopre la carica di segretario della sezione di Castellammare di Stabia dei pensionati della Previdenza Sociale ed, in passato, è stato per vari anni consigliere comunale eletto con la lista del Pci. Serba regolare condotta …)[10]

lla sopravvenuta amnistia del 3 marzo. Vince888888888888888888

Luigi Di Martino scompare il 30 gennaio 1969, nella sua casa di via Cavour 12, colpito da infarto. [11] Il vecchio patriarca del movimento operaio stabiese, amato e rispettato da vivo, rimpianto da morto ebbe funerali degni dell’onore guadagnato con la semplicità della sua travagliata esistenza. Aveva speso la sua vita al servizio del movimento operaio ed era morto povero, così com’era vissuto. Lasciava la bandiera delle battaglie sociali e civili, per l’emancipazione della classe dei proletari ai giovani nati dopo la fine del secondo conflitto mondiale, a quanti in quegli ultimi anni si affacciavano alla militanza politica e si stavano formando sull’onda della protesta studentesca e della ripresa delle lotte operaie.

 

 

N.B. Chiunque possa e voglia fornire notizie e foto utili all’approfondimento dei temi trattati può contattarmi sia tramite il sito www.sinistraemezzogiorno.it, sia la mia mail, raffaele_scala@libero.it. Grazie

 

 

 

 

[1]Franco Ferrarotti: La piccola città, Liguori Editore 1973, pag. 141, Biografia di Luigi D., comunista

[2]ACS, CPC, Luigi Di Martino.

[3]I fatti trovarono un’eco perfino sull’Unità che usciva clandestinamente: cfr. l’Unità n. 4, 1936: Agitazioni contro la guerra nel Napoletano.

[4]Ad evitare il carcere furono Luigi Blundo (1897 – 1978), impiegato nei Cantieri metallurgici, ritenuto politicamente sospetto fin dal 1926, quando fu visto uscire dall’abitazione di Gino Alfani a Torre Annunziata, Catello De Angelis, operaio dei cantieri navali, già socialista poi iscrittosi al PNF nel 1933, Catello Bruno, operaio dei Cmi, già imputato nei fatti di Piazza Spartaco, non evitò, però, la condanna a tre anni di confino politico, a Ventotene, il 4 marzo 1936, poi prosciolto il 4 luglio di quello stesso anno, Esposito Catello, stagnino, guardia rossa ai tempi dell’occupazione delle fabbriche nel 1920, già processato e assolto per i fatti di Piazza Spartaco, anch’egli condannato a tre anni di confino da scontare Ventotene e Miglionico. Sarà liberato il 5 giugno 1937. Domenico Santaniello, panettiere, e Amedeo Bacchi, operaio CMI, erano gli unici due a non avere precedenti politici. Su alcuni militanti sopra riportati ha un suo interesse una nota dell’’Unità del 1 luglio 1925 in cui si riporta dei provvedimenti disciplinari contro alcuni militanti, tra questi Antonio Accardi per indegnità politica, Catello De Angelis radiato dal Partito per cattiva educazione comunista, Labriola Luigi per inettitudine e Amedeo Bacchi per assenteismo. La stessa nota fa riferimento alle dimissioni di un certo Luigi De Martino, accettate dalla sezione del PCd’I all’unanimità e con soddisfazione. Non sappiamo se si riferisce al leader del gruppo arrestato nel 1936. Propendiamo per il no, giacché vi erano altri militanti comunisti con lo stesso nome, tra cui un Luigi Di Martino nato nel 1903, calzolaio emigrato in Francia, così come è possibile che non vi sia nessun errore di stampa ed effettivamente si riferisse a tale Luigi De Martino, di cui ignoriamo tutto.

33 Franco Ferrarotti: cit. Tratto di vita di Luigi D-, scritta da lui, pag. 149/150

44 ibidem, pag. 150

[5] Ferrarotti – Uccelli, cit., pag. 150/151

[6]A Castellammare voteranno a favore della Repubblica 12.564 elettori, il 49,5 %, la monarchia sopravanzerà per soli 303 voti. A Torre Annunziata furono, invece, 13.096 i voti repubblicani contro i 10.182 monarchici. Abissale la differenza con Torre del Greco dove i monarchici trionfarono con 23.152 preferenze, a fronte dei 3.800 consensi strappati a favore della repubblica, ma neanche Napoli scherzava in quanto a fedeltà alla monarchia, con 692.370 voti, il 77,7%, contro 199.064, appena il 22,3% di repubblicani. Nella lista del PCI per la circoscrizione Napoli Caserta, tra i candidati vi erano due splendide figure dell’antifascismo locale. L’operaio del Regio Cantiere, Luigi Di Martino, conquistando 1971 preferenze e il maestro elementare di Torre Annunziata, Francesco Pinto, mentre il PSI rispondeva con gli stabiesi Nino Gaeta (ma da anni trasferitosi a Roma con il fratello Oscar), con 2425 voti, Raffaele Guida, 1557 preferenze e il torrese Carmine Crispino.  Altri stabiesi candidati in queste prime storiche elezioni furono Ugo Fusco con l’Uomo Qualunque (4695 voti), Alfredo Olivieri con il Partito Repubblicano (420 voti) e Giovanni Somma con l’Unione Democratici Indipendenti (38 voti)

[7]Giorgio Amendola: Il balzo nel Mezzogiorno. 1943-53, in Il Mezzogiorno negli anni della Repubblica, a cura di Giampiero Mughini, Quaderni di Mondoperaio, 1977 e il più recente: Il voto nel 1946 a Napoli e Provincia, a cura di Rosaria Secondulfo

[8]Ibidem, pag. 152

[9]ACS, CPC, Luigi Di Martino, 27 luglio 1951

[10]ACS, CPC, ibidem, 22 luglio 1966

[11]ACS, CPC, ibidem, 19 febbraio 1969

Della morte di Luigi Di Martino ne diede notizia anche l’Unità il 1 febbraio 1969, con l’articolo: I commossi funerali del compagno Di Martino, ricordando che la camera ardente era stata allestita nella sezione Lenin e vegliata a turno da operai, giovani, dirigenti del partito, antifascisti e sindacali. Le orazioni funebri furono tenute da Liberato de Filippo e Maurizio Valenzi. Tra i partecipanti l’ex sindaco, Pasquale Cecchi.

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