Reddito di libertà, sostegno o limite?

 

di Gabriella Notorio

Il Reddito di Libertà è una misura nazionale, integrabile con contributi e finanziamenti regionali, per le donne vittime di violenza che intraprendono un percorso di autonomia personale e familiare.

È istituito nel periodo della Pandemia da Covid-19, un momento per le donne vittime di violenza ancor più difficile. Chiuse in casa, in convivenza forzata con il partner maltrattante e controllate h.24, le vittime di violenza sembravano tornare all’invisibilità. Pochi, pochissimi gli accessi ai Centri antiviolenza che, nel pieno rispetto delle misure anti-Covid, resistevano e continuavano ad essere operativi sul territorio nazionale. Poche ed altrettanto pochissime le richieste di aiuto al 1522.

Sembrava impossibile che un fenomeno strutturale e pervasivo come la violenza sulle donne fosse completamente sparito dallo scenario nazionale e non solo.

Con la riapertura e il ritorno ad una fase di quasi normalità emerge la terribile verità. Pur in assenza di denunce, vi sono stati atti di grave maltrattamento, con condotte abusanti ai limiti della schiavitù. Alle donne veniva impedito anche di effettuare tamponi per evidenziare il contagio da COVID o di adottare accorgimenti e protezioni per indurle al confinamento domestico.

In questa situazione diviene operativo il Reddito di Libertà, tra la fine del 2021 e l’inizio del 2022 con Circolare applicativa dell’Inps.

A poter beneficare sono le donne vittime di violenza, accolte nei centri riconosciuti ed accreditati dalle Regioni di residenza, con cittadinanza italiana, comunitaria ed extracomunitaria, con permesso di soggiorno o status di rifugiata ed in protezione sussidiaria.

L’intervento prevede l’erogazione di un assegno mensile fino a 400 euro per un periodo massimo di un anno, rinnovabile fino ad un secondo anno.

È necessaria la certificazione di presa in carico dei Centri antiviolenza insieme alla documentazione di presa in carico dei Servizi Sociali territoriali, attestante lo stato di bisogno sociale ed economico. Il Reddito di Libertà può essere un reale strumento di aiuto alle donne che, in fase di fuoriuscita dalla violenza, hanno bisogno di ricostruire la propria vita, con un concreto supporto da destinare alle spese per l’autonomia abitativa e personale, oltre che nel percorso scolastico e formativo dei figli minori. Il contributo mensile, inoltre, è compatibile con altri strumenti di sostegno al reddito come il Reddito di Inclusione, NASpI, Cassa Integrazione e i voucher regionali. Dunque, aggiunge senza togliere.

Ogni Regione o Provincia autonoma può decidere di incrementare le risorse per il Reddito con ulteriori fondi propri, come ha fatto la Regione Campania con 1.228.800 euro.

A seguito del DPCM del 1° giugno 2022 sono stati definiti ulteriori criteri per la ripartizione delle risorse pari a 9 milioni di euro, stanziati per il 2021, il 2022 e il 2023

L’INPS, dall’entrata in vigore della misura sono al 23 novembre 2022, ha già ricevuto più di 4 mila domande di cui:

– 2.390 sono state accolte;

– 1.521 non accolte per mancanza di requisiti richiesti;

– 264 sono state accolte e liquidate con budget regionale;

– 56 in fase istruttoria.

 

Il primato per numero di domande presentate spetta alla Lombardia con 715 (di cui 409 pagate), seguita dall’Emilia Romagna con 526 (di cui 177 pagate con il budget nazionale e 264 con quello regionale) e dalla Campania con 491 (di cui 249 pagate).

 

Criticità e preoccupazioni.

 

La misura di per sé benché necessaria appare insufficiente e limitativa a sua volta. Ogni anno, infatti, le domande accolte sono poche e il budget complessivo utilizzato per pagare il Reddito di libertà, quasi vicino ai 12 milioni, non basta.

Spesso, infatti, sebbene i termini di decorrenza per presentare la domanda siano ancora vigenti, la domanda viene già rifiutata e non accolta per mancanza di fondi. Il paradosso è che si permette alle donne di presentare richiesta quando già a livello nazionale i fondi previsti sono terminati.

Per le donne un ennesimo schiaffo alla libertà.

Soprattutto per la delicata e fragile condizione di vittime in cui si trovano. A livello nazionale, i Centri antiviolenza hanno guardato positivamente al Reddito di Libertà.

Un intervento utile sicuramente ma di facciata; ad oggi se consideriamo l’impossibilità di presentare richiesta per chi non denuncia o non si rivolge ad un centro antiviolenza accreditato. Molti infatti sono le realtà dei centri e degli sportelli antiviolenza che operano in maniera volontaria, con personale esperto e qualificato ma non ancora accreditato a livello regionale o strutturale, con la presenza di un bacino di utenza ampio e costante nel tempo. Alle utenti di questi servizi, che sono sempre vittime di violenza, vi è il diniego.

La fase di accreditamento è difficile e l’operato dei centri antiviolenza spesso non è sostenuto da finanziamenti nazionali e regionali, ma vive del lavoro delle volontarie e dei supporti economici provenienti dalle stesse. A questo a volte si aggiungono le difficoltà dei servizi sociali nella certificazione benché in presenza di donne vittime di violenza in stato di bisogno

In questo contesto, cosa ne sarà del Reddito di Libertà con l’autonomia differenziata, cosa ne sarà delle donne vittime di violenza e dei loro figli in un quadro nazionale e regionale che sta intensificando la forbice delle disuguaglianze sociali ed economiche?

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