Scampia: non chiamiamola disgrazia

Persone all'esterno della Vela celeste di Scampia subito dopo il crollo che ha ucciso due persone, Napoli, 22 luglio 2024. ANSA/CESARE ABBATE

di Giovanni Paonessa

Stanotte si è consumata una tragedia. Ma non azzardatevi a chiamarla “disgrazia” oppure a rifugiarvi dietro la “fatalità” e il “destino”. Se proprio volete, potete fare riferimento alla categoria delle morti annunciate. Le vele di Scampia lasciano dietro di loro una scia di sangue. No, non solo e non tanto quello raccontato dalla narrazione su “gomorra”, che è possibile leggere sfogliando la cronaca nera dei quotidiani. Quante sono state le morti “bianche” causate dall’amianto che si respira abitando nei “cubicoli” e che si libera nell’aria quando le pareti iniziano a sgretolarsi sotto i colpi dell’incuria e dell’umidità? Quell’incuria che è iniziata subito dopo la costruzione. Quell’umidità che alimenta le malattie respiratorie, colpendo i bambini e gli anziani. La vela celeste era destinata a restare in piedi. Riqualificata avrebbe dovuto ospitare gli uffici della Città metropolitana di Napoli. Non da meno doveva essere svuotata e, per farlo, era stata programmata e finanziata la costruzione di alloggi provvisori. Contestualmente, era già stata programmata e finanziata la costruzione di alloggi popolari sull’area della vela verde, abbattuta già nel 2020, malgrado i rallentamenti causati dal Covid. Con una chiara e puntuale esecuzione dei lavori di abbattimento e ricostruzione, si sarebbe potuto realizzare quel sogno che la popolazione delle vele accarezza da decenni. Non è il momento di cercare responsabilità. Ma non è neanche difficile capire in che direzione cercare. Per ogni rinvio, per ogni lungaggine burocratico-amministrativa, per ogni giorno di ritardo: Anche se voi vi credete assolti, siete per sempre coinvolti!

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