Un duello d’inizio Novecento: Cafiero – Ungaro

(Storia paradossale di sfide e duelli tra giornalisti nella bollente estate del 1909)

di Raffaele Scala

Premessa

 

Il duello, ci dice il nuovo Zingarelli, è un combattimento che si svolge secondo speciali norme tra due contendenti con armi uguali (pistola, spada o sciabola) per risolvere controversie, specialmente d’onore. Si racconta che sia nato in Italia  e da qui diffuso nel resto d’Europa, ma già nel Vicereame di Napoli nel 1540, dimostrando una civiltà che altri non avevano ancora raggiunto,  il duello fu punito per legge. Con l’Unità d’Italia fu definito illegale ma vietato solo nel 1875. Ciononostante  le cosiddette classi elevate, nobili, ufficiali dell’esercito, ricchi borghesi, o presunti tali, non rinunciarono a battersi, tra pari, per difendere la rispettabilità, l’onore offeso, il proprio, quello di un familiare, della stessa Patria. oppure in nome della Giustizia. Celeberrimo è il duello nel quale perse la vita, il focoso e impulsivo radicale milanese, Felice Cavallotti (1842 – 1898), dopo essere stato gravemente ferito in duello con la sciabola dal giornalista, Ferruccio Macola, il cui braccio era ben più lungo dell’avversario[1]. Rimanendo in tema di giornalisti, meno famoso, forse, fu quello che vide coinvolto lo scrittore francese, Marcel Proust (1871 – 1922) con Jean Lorrain (1855 – 1906), noto giornalista, poeta e scrittore, sfidato per averlo negativamente recensito. Altri raccontano per alcune maliziose insinuazioni sulle sue amicizie maschili. Lo stesso Lorrain, a differenza del giovane Proust, amava ostentare la sua omosessualità con la evidente volontà di dare pubblico scandalo.  Fortunatamente i colpi di pistola, due ciascuno, sparati il 6 febbraio 1897, andarono a vuoto e tutto finì senza  successive conseguenze. Meno importante è anche il duello con la sciabola tra Benito Mussolini (1883 – 1945), non ancora duce ma già direttore del Popolo d’Italia e il socialista, Francesco Ciccotti Scozzese (1880 – 1937), tra i fondatori del quotidiano romano, Il Paese, entrambi deputati. Il duello, avvenuto a Livorno nell’ottobre 1921, si interruppe a seguito di una crisi cardiaca del Ciccotti.[2]  Chiudiamo  la nostra breve carrellata di famose, bellicose competizioni, con il simpatico e indimenticabile, Totò, ricordando che anche lui sfiorò il duello sfidando, nel  1950, il futuro Presidente della Repubblica, Oscar Luigi Scalfaro, allora giovane e bigotto parlamentare.[3]

Il Fatto che scatenò la tempesta

 

Sicuramente ignorato dai più, ma per noi che scriviamo non meno importante, fu il duello tra due giornalisti, lo stabiese Ugo Cafiero (1866 – 1951) e il pugliese, Filippo Ungaro (1888 – 1977), entrambi dipendenti dei quotidiano napoletano, Il Mattino. Cafiero era caporedattore della redazione romana da diversi anni e tra i suoi collaboratori vi fu il giovane, ma non per questo meno ambizioso, Ungaro, destinato a luminosa carriera, non solo come pubblicista e giornalista, ma quale avvocato illustre e deputato per numerose legislature, dal 1921 al 1943.[4] Un duello tanto particolare da scatenarne almeno altri due, tutti, fortunatamente, finiti senza eccessivi spargimenti di sangue. Di almeno altri cinque, annunciati pubblicamente, se ne sono perse le tracce e probabilmente non sono mai avvenuti. Sfide rimaste tali solo sulla carta.

La particolarità di questa strana, paradossale, rocambolesca sfida sta anche nella partecipazione a vario titolo di diversi personaggi di notevole spessore e interesse storico, uno su tutti, il Divino Poeta, il sublime romanziere, Gabriele D’Annunzio (1863 – 1938), amico e confidente di Ugo Cafiero da oltre venti anni; figura minore ma sua volta interessante è Garzia Cassola (1869 – 1955), giornalista politico di diverse testate, socialista, Segretario della Camera del Lavoro di Cremona, traduttore di livello e padre del celebre scrittore, Carlo, l’ultimo dei suoi cinque figli.[5] Tra i duellanti, oltre a Filippo Ungaro, da cui tutto scaturisce, emergono le figure del giornalista Alberto Giannini (1885 – 1952), socialista, poi voltagabbana fino a diventare negli anni Trenta un agente provocatore dell’Ovra (Opera Vigilanza Repressione Antifascismo), la temibile e pericolosa polizia segreta fascista; ancora più importante la bella figura del repubblicano Ernesto Butta (1877 – 1915), un sardo di Sassari, dalla vita breve e avventurosa, caduto combattendo contro i tedeschi, nel gennaio 1915, dopo essersi arruolato come volontario nella Legione Garibaldina, interamente composta da italiani e sorta per combattere al fianco dei francesi prima ancora dell’entrata in guerra dell’Italia.

Tutto ebbe inizio la sera del 22 agosto 1909 a Roma, quando nella Sala Stampa al Telegrafo di Piazza San Silvestro,, Cafiero schiaffeggiava un pubblicista dello stesso giornale, per l’appunto il suo futuro sfidante, Filippo Ungaro. Il ragazzo, aveva poco più di ventuno anni, ed era stato licenziato dal giornale, forse per volere dello stesso Cafiero, probabilmente perché aveva esaurito la sua esperienza di apprendistato, di giovane precario, del resto era arrivato a Roma non molto tempo prima, forse un anno, non di più. Si era subito lasciato sedurre dal fascino del giornalismo cominciando a frequentare la Sala Stampa e i corridoi di Montecitorio e si racconta che un giorno, forse leggenda metropolitana, il  redattore parlamentare del Mattino si era ammalato e lui, seduta stante, fu spedito gioca forza a fare il resoconto della Camera, guadagnandosi i primi galloni.  Quali furono poi i motivi di licenziamento non siamo riusciti a scoprirlo, ma del resto poco conta nell’economia del racconto. Si potrebbe ipotizzare,  volendo ragionare con malizia, che la causa fu l’eccesso d’iniziativa dell’ambizioso giovane, provocando la reazione del più maturo Cafiero, intravedendo in lui un pericoloso arrampicatore e futuro temibile concorrente nel campo del giornalismo parlamentare? Chissà!

Comunque sia andata la vicenda, quella sera si era presentato  chiedendo il pagamento di un ultimo stipendio non ancora liquidato. Per il suo Capo redattore invece non aveva più nulla a pretendere giacché le sue intere spettanze  erano state spedite con una fede di credito girata con la formula, a saldo. A torto oppure a ragione, di fronte al diniego del Cafiero, il giovane Ungaro non trovò di meglio del mettersi a gridare, lasciandosi andare a velenosi improperi, provocando la  reazione del suo ex capo, probabilmente spropositata, ma sicuramente umana, facendogli schioccare con violenza un pesante ceffone sul viso. Non a caso il già famoso giornalista stabiese era noto come un tipo energico e sbrigativo.[6]

Il giorno dopo, senza perdersi in chiacchiere, immaginiamo dopo una notte insonne di tormentati pensieri per l’onore ferito e l’orgoglio offeso, Filippo Ungaro scrisse ad Alberto Giannini e a Domenico Ventriglia, rispettivamente giornalisti corrispondenti  de, Il Secolo e del Don Marzio, due diffuse testate dell’epoca, di Milano e Napoli, la seguente lettera:

 

Carissimi amici, in seguito all’incidente di ieri sera nella Sala della Stampa – che è a vostra piena conoscenza – vi prego di recarvi in mio nome dal signor Ugo Cafiero per chiedergli ragione dell’offesa arrecatomi. Vi do ampio mandato e cordialmente vi ringrazio.[7]

 

La risposta di Cafiero la conosciamo indirettamente, tramite la lettera che i due padrini scrissero all’offeso pubblicista, riassumendo il negativo incontro con lo sfidato, non mancando di condirlo con il proprio, personale, velenoso disprezzo:

 

Caro Ungaro, onorati del mandato che ti piacque affidarci, ci siamo recati dal signor Ugo Cafiero per chiedergli quella soddisfazione che ogni gentiluomo ha il dovere di dare alla persona da lui offesa. Il signor Ugo Cafiero trincerandosi dietro ridicoli ed inqualificabili pretesti, senza nominare rappresentanti ha cercato di sfuggire alla lezione che tu volevi infliggergli. In seguito ad una così flagrante infrazione di ogni più elementare legge di cavalleria, mentre per il decoro della classe giornalistica ci asteniamo dal qualificare il contegno del signor Cafiero, ti rimettiamo il mandato, dolenti che, non per tua colpa, ci siamo trovati a contatto di un simile individuo. Ti stringiamo la mano.

 

Una simile lettera, affissa il giorno dopo nella Sala Stampa, come comunicato da dare in pasto ai curiosi e tra l’altro resa pubblica su diversi quotidiani, non poteva rimanere senza risposta, costringendo il Capo redattore del Mattino, probabilmente suo malgrado, a prendere una netta e dura posizione, inviando la sera stessa ai  verbosi giornalisti due suoi rappresentanti, il Barone Domenico Musumeci e il Cav. Giuseppe Zambelli, chiedendo a sua volta soddisfazione. La lettera del Cafiero era accompagnata da un altra dei suoi padrini, Zambelli e Musumeci, ritenuta a sua volta offensiva dai rappresentanti nominati   dall’Ungaro. In seguito a tale pubblicazione uno dei padrini, il giornalista Butta, ebbe un alterco con vie di fatto da parte di  Zambelli in via San Silvestro e poco dopo, sempre Zambelli, evidentemente ancora con uno stato d’animo agitato,  s’incontrò con  il Giannini, venendo nuovamente a vie di fatto e avendo, purtroppo per lui, la peggio. Intanto, non molto lontano da dove si erano verificati questi fatti, come in una buffa commedia, o meglio tipica sceneggiata, in via San Nicola da Tolentino,  Ungaro affrontava  lo stesso Cafiero assalendolo con una veemenza tale da costringerlo a rifugiarsi in un vicino negozio. Come se tutto ciò non bastasse ad eccitare i già esasperati animi, un estraneo alla classe giornalistica, tale Pietro Carmeli, un dipendente dello Zambelli, per vendicare il suo datore di lavoro dalle percosse ricevute tentava di aggredire Giannini presso il celebre Caffè Aragno, senza riuscirci.[8] Anzi, evidentemente uomo prestante e capace di ben difendersi, Giannini, sicuramente molto più giovane dell’avversario, ridusse in malo modo il malcapitato incapace difensore anche di sé stesso e salvato soltanto dall’accorrere di altri  colleghi. Cornuto e mazziato Pietro Carmeli fu scortato in commissariato dalle stesse guardie, a loro volta accorse, accompagnate dalla piccola folla che intanto si era assembrata per assistere all’insolito gratuito spettacolo.[9]

I fatti narrati sono in realtà molto ingarbugliati tra incontri, scontri e appuntamenti vari, al punto che il susseguirsi degli eventi non è ben chiaro nella loro dinamica. Di certo sappiamo che le varie reazioni, tra offese e contro offese stizzite, non si fecero attendere, tra queste quella di  Alberto Giannini pronto ad inviare immediatamente i suoi due rappresentanti, Andrea Petroncini del giornale, La Ragione, e il collega del Secolo, Raffaele Garinei. Altrettanto fece il Ventriglia inviando a sua rappresentanza, Roberto Rocco del Giorno ed Ernesto Butta, del Giornale di Sicilia.

L’incontro tra i vari padrini ci fu a stretto giro nella stessa Sala Stampa per chiarire i termini della sempre più intricata e spinosa questione venutasi a creare, arrivando a sottoscrivere una mediazione che in realtà non soddisfò Ugo Cafiero perché i due giornalisti sfidati, tramite i loro rappresentanti, chiesero e ottennero di rinviare la reciproca soddisfazione solo dopo aver chiuso quella inerente la prima sfida riguardante il primo sfidante, Filippo Ungaro.[10]

Il clamore suscitato dai fatti ora narrati, per la notorietà di alcuni suoi protagonisti e ingigantiti dalla diffusione sui diversi organi di stampa, arrivò ad interessare gli stessi probiviri del sindacato dei corrispondenti, a loro volta sollecitati da numerosi iscritti e in particolare dallo stesso Gabriele D’Annunzio, amico e protettore da sempre del furioso stabiese. Il Vate estremamente preoccupato per la pericolosa deriva nella quale stava precipitando la situazione, sfuggendo al controllo degli stessi protagonisti, e in particolare del suo focoso protetto, senza perdersi in preamboli scrisse direttamente al Presidente dell’Associazione della stampa periodica italiana,11 una organizzazione fondata nella stessa capitale d’Italia nel 1877 e la cui funzione principale sembrava risolversi nel tentare di evitare, per quanto possibile, i duelli fra gli aderenti, una vera e propria piaga della cosiddetta, Belle Epoque.

Un storia dalle cause così minimali  poteva tranquillamente chiudersi qui, ma ancora una volta intervenne Cafiero inviando una vera e propria dichiarazione di guerra, tramite un bellicoso telegramma circolare nel quale dichiarò senza mezzi termini di essere a disposizione dei colleghi, Ungaro, Giannini,, Ventriglia, Petroncini, Garinei, Rocco e Butta, i quali hanno già nominato i loro padrini.[11]

Ma andiamo per gradi e seguiamo la vicenda attraverso i comunicati stampa e gli articoli di giornale dell’epoca. Pochi giorni dopo, infatti, sull’Avanti! del 28 agosto fu pubblicato un nuovo comunicato:

 

In seguito al comunicato apparso ieri sera sulla Ragione, relativamente alle vertenze cavalleresche, Cafiero -Ungaro, Cafiero-Giannini, Cafiero- Ventriglia. I colleghi attaccati dal Cafiero e dai suoi padrini giudicando che le vertenze avessero derogato,  malgrado i loro sforzi, dalle linee della cavalleria ricorsero a soluzioni di altro genere nella Sala Stampa a S. Silvestro, in via San Nicola da Tolentino, innanzi al Caffè Aragno. La condotta del Commendator Cafiero e del Cavalier Zambelli sarà esaminata dai Probiviri del Sindacato dei Corrispondenti, convocati ad iniziativa di un forte gruppo di soci.[12]

 

Sembra quindi di capire che gli scontri fisici, le urla, le offese e gli schiaffi si ebbero la sera stessa dell’incontro che voleva essere  chiarificatore. Prima, durante o dopo e comunque sia, tutto finì nel peggiore dei modi. Un  accordo fu però, obtorto collo raggiunto, stando ad un successivo  articolo dello stesso Corriere della Sera.  Dal resoconto dell’anonimo cronista  veniamo a sapere che i vari rappresentanti riuscirono a trovare un intesa per uscire dall’intricata matassa, venutasi a creare malgrado loro, stabilendo che avesse luogo un unico duello valido a garantire l’onore di tutti. A sfidarsi a duello, tramite un sorteggio fra tutti i vari partecipanti della strana contesa, furono designati Giuseppe Zambelli, già padrino di Cafiero, da una parte e il giornalista Ernesto Butta dall’altra.

 

I duelli diventano tre

 

Il duello si ebbe, a quanto pare, il 29 agosto, in una villa fuori Porta Pia, l’arma scelta fu la sciabola. A rappresentare Butta furono chiamati i giornalisti, Bonaretti e Garzia Cassola, quest’ultimo, socialista e membro del Consiglio direttivo della Federazione Giornalistica Italiana, mentre per Zambelli furono designati Dal Re e Igliore. Lo scontro fu senza esclusione di colpi e al nono assalto la vittoria arrise il più fortunato, o se preferite, il migliore, il sanguigno Zambelli, riuscendo a ferire al braccio destro il suo rivale, Butta.[13]

La vittoria del suo amico e rappresentante probabilmente esaltò lo stabiese Ugo Cafiero, al punto da lanciare, a sua volta, il guanto di sfida contro quanti si erano messi di traverso in quella sempre più assurda, inutile sfida, contro l’intera stampa schieratasi fin dal primo momento a favore di Filippo Ungaro. Una stampa dichiaratamente, apertamente nemica del giornalista di Castellammare di Stabia, tacciato di viltà a causa del suo atteggiamento iniziale di rifiuto, per il suo tirarsi indietro, non accettando di battersi contro il pur altezzoso giovine  non ritenuto degno, alla sua altezza di giornalista affermato e famoso. Chissà! Leggiamo:

 

Ieri, in seguito allo strascico della vertenza giornalistica di cui demmo pubblicazione giorni or sono, si batterono alla sciabola i colleghi Butta e Zampelli; il primo rimase leggermente ferito al polso ed i padrini decisero la cessazione dello scontro. Ma non tutto è finito poiché il corrispondente del Mattino, commendator Cafiero, ha mandato un telegramma circolare nel quale dice di mettersi a disposizione dei colleghi, Ungaro, Giannini, Ventriglia, Petroncini, Garinei, Rocco e Butta i quali hanno già nominato i loro padrini. Poco meno della disfida di Barletta, dunque! [14]

 

Rimaneva quindi in piedi la contesa  tra Cafiero e Ungaro, non sanato dalla precedente sfida, e duello fu, il successivo 2 settembre. I due si sfidarono fuori Porta San Paolo scegliendo come arma la pistola ed avendo a disposizione due colpi ciascuno. Fortunatamente i quattro colpi sparati dai due non infallibili pistoleri andarono a vuoto. Entrambi si ritennero soddisfatti di come la vicenda si era conclusa e finalmente fu firmata la pace dell’inverosimile vicenda, stringendosi definitivamente le mani in segno di pace.[15] Una pace che riguardava unicamente i due contendenti perché aperte erano le altre  ancora in corso e per nulla sanate.

 

Un intervento di D’Annunzio, amico di lunga data  di Cafiero

 

Una versione dei fatti narrati, da noi ricostruita attraverso i resoconti giornalistici dell’epoca, venne descritta anche dal francescano Padre Anselmo Paribello[16]  qui sommariamente ripresa, vista dalla parte di Cafiero. I fatti e le date pubblicate dal francescano non coincidono esattamente con la nostra ricostruzione, ciononostante abbiamo deciso di lasciarli così come l’autore li ha descritti, anche quelli palesemente sbagliati come, per esempio, la data del duello finale tra i principali contendenti, probabilmente narrati sul filo della memoria di chi questi fatti li raccontò successivamente, possiamo ipotizzare la stessa Maria, figlia di Cafiero, al francescano. Seguiamo quindi questa nuova versione dei fatti:

Sfidato a duello Cafiero rifiutò non volendogli dare  soddisfazione, non ritenendolo degno di battersi con lui, ma ai due padrini che vennero a informarlo riferì che era disponibile ad affrontare chiunque lo avesse fatto in suo nome. L’incontro tra le parti, rappresentate dai quattro padrini, due per parte, si concluse positivamente arrivando a un accordo di sospensione momentanea in attesa di chiarimenti. Nel frattempo la notizia giunse sui giornali, su abili informazioni fornite dall’Ungaro e pubblicate, tra l’altro, dal quotidiano socialista, l’Avanti! costringendo lo stesso Cafiero a scrivere, a sua volta, il 26 agosto 1909 (di cui non abbiamo trovato traccia), rivendicando la sua verità dei fatti. L’invio all’organo socialista era, forse, motivato dal fatto che da anni ormai Cafiero aveva abbracciato la fede socialista, pur non avendovi mai aderito, oppure, verosimilmente, perché l’organo del Psi era stato il primo ad occuparsene ampiamente, se non altro per la militanza attiva  di alcuni giornalisti impegnati a vario titolo nella contesa.

Il nostro Ugo non si era tirato indietro, ma aveva semplicemente chiesto una sospensione in attesa che un Giurì giudicasse se l’Ungaro fosse degno o meno di battersi a seguito di quanto era accaduto. Intanto lo scandalo era scoppiato e la versione prevalente fu quella di un Cafiero vigliacco, una nomea che nonostante tutto gli resterà appiccicata addosso per sempre, come avrà modo di vedere appena un anno dopo, quando una nuova contesa lo vedrà contrapporsi a Raffaele Maria Vulcano, capo redattore di un altro quotidiano, Il Giornale, definendolo il celebre vigliacco da tutti conosciuto, sempre lesto alle fughe più ignominiose.

L’affronto fu tale da finire davanti alla decima sezione del Tribunale penale di Roma, ma paradossalmente si concluse, inaspettattamente, con la condanna del querelante, chiamato a pagare le spese processuali. Per il povero Cafiero, oltre al danno pure la beffa.

Intanto, tornando al 1909 e alla vicenda delle disfide, in  soccorso del giornalista stabiese, ancora una volta, venne il suo amico e protettore, Gabriele D’Annunzio, scrivendo di suo pugno alla Presidenza dell’Associazione della stampa periodica italiana, proponendo una soluzione della vertenza, provando in questo modo a spegnere l’incendio, ma non ci fu nulla da fare e alla fine il duello Cafiero Ungaro ci fu. Era l’1 settembre 1909.

 

I due sfidanti s’incontrarono alle sei del mattino, a un chilometro dalla via Laurentina, accompagnati dai rispettivi padrini. Spararono due colpi a testa, senza conseguenza alcuna, con pistole da duello caricate sul posto da un armaiolo scelto di comune accordo. Entrambi si considerarono alla fine soddisfatti e ogni malinteso fu dimenticato.[17]

 

Qualcuno può pensare che, finalmente, con quest’ultimo duello si potesse porre fine alla lunga, incredibile querelle a colpi di guanti di sfida. E invece no, non era ancora finita per il povero Cafiero. Una nuova disfida  l’attendeva dietro l’angolo, strascico di una polemica senza fine, nato da uno schiaffo e trasformato in una tempesta senza fine, coinvolgendo un numero indefinito di giornalisti. Stavolta il duello per lo stabiese era contro il giovane Alberto Giannini[18], giornalista del Secolo, già padrino di Filippo Ungaro. Ancora una volta non ci fu spargimento di sangue, grazie al pronto intervento di due deputati, il celebre socialista siciliano, Giuseppe De felice Giuffrida (1859 – 1920) e il casertano, monarchico, Enrico Buonanno, entrambi, a loro volta, giornalisti.

Entriamo dunque nel merito di questo, forse, ultimo duello seguendo la cronaca di un giornale piemontese: La Stampa, prestigioso quotidiano di Torino.

 

Oggi, nel pomeriggio, in una villa fuori Porta Pia è avvenuto uno scontro alla spada tra il commendator Cafiero, corrispondente del Mattino e il collega Giannini, dell’ufficio di corrispondenza del Secolo, di Milano. Lo scontro era conseguenza della lunga vertenza svoltasi in questi giorni tra i colleghi della Sala della Stampa. Al secondo assalto sopraggiunsero sul luogo, ove avveniva lo scontro, gli onorevoli De Felice e Buonanno, i quali, officiati da comuni amici, pregarono tanto i padrini, quanto i duellanti a voler sospendere lo scontro facendo notare che i  due erano scesi sul terreno e si erano comportati cavallerescamente e coraggiosamente negli assalti già avvenuti e non avevano, d’altra parte, nessuna ragione personale di rancore, dato che tanto il Giannini quanto il Cafiero dovevano battersi per una questione sopravvenuta in seguito ad un incidente cavalleresco provocato dal primo incidente originario. IL consiglio e la preghiera dei due deputati amici e giornalisti, sebbene, sul principio, a malincuore fu accettato da tutti i presenti e i duellanti si riconciliarono.[19]

 

In realtà il guanto di sfida da parte di Cafiero  riguardava anche altri cinque giornalisti, ma di questi duelli, ad oggi, non abbiamo trovato traccia nelle varie cronache dell’epoca. Dobbiamo ritenere che non siano stati accettati dagli sfidanti, forse la mediazione dei due parlamentari sopra citati riuscì nell’intento di trovare il giusto compromesso sui vari onori offesi e a far stringere la mano ai vari contendenti. Soprattutto bisognava convincere il coriaceo e sanguigno Cafiero a ritirare la sfida, anzi, le sfide contro i cinque malcapitati, Domenico Ventriglia, giornalista del Don Marzio, Andrea Petroncini[20], de La Ragione, Raffaele Garinei[21] del Secolo, Roberto Rocco del Giorno e Ernesto Butta[22] del Giornale di Sicilia. Rimaniamo in attesa di scoprire se mai vi fu una eventuale, ulteriore mediazione dei due parlamentari. Magari altri storici si cimenteranno nell’ardua impresa, trovando segreti documenti nei polverosi Archivi di Stato.

Per il povero Cafiero i guai non finiranno qui, altri più gravi lo vedranno ancora una volta protagonista, tra cui quello relativo al caso del Colonnello del Genio Civile e sotto direttore del Regio cantiere di Castellammare di Stabia, Antonino Calabretta, coinvolto in una inchiesta, a seguito di una lettera anonima, per aver fatto eseguire agli operai del Cantiere una serie di lavori per conto di una Società fluviale facendo pagare i costi allo Stato. Uno scandalo di proporzioni nazionali che comporterà nel 1910, alla fine della scabrosa vicenda, il suo licenziamento in tronco dal famoso quotidiano fondato da Edoardo Scarfoglio e Matilde Serao. Cafiero  pagò per  essersi esposto contro Calabretta con una serie di feroci articoli e schieratosi con il deputato del collegio stabiese, Alfonso Fusco, poi rivelatosi l’artefice di un complotto ai danni del Colonnello. In realtà il povero Cafiero sarà, come il colonnello, una vittima designata, pagando per gli errori della linea politica del suo direttore e datore di lavoro, Scarfoglio.[23] E nulla potranno le sue pur potenti amicizie, coltivate in tanti anni, tra Ministri e Presidenti di Consiglio, da Francesco Saverio Nitti, a Giovanni Amendola, da Enrico De Nicola a Giovanni Giolitti e, non ultimo, Gabriele D’Annunzio, del quale ancora si conserva una nutrita corrispondenza pubblicata nel citato libro del padre francescano, Anselmo Paribello.

Altrettanti potenti dovevano essere, evidentemente, le sue inimicizie, in particolare nel mondo, non meno influente e spietato, della carta stampata, il Quarto Potere per antonomasia,[24] almeno fino all’avvento, ormai straripante, dei nuovi, formidabili mezzi informatici di comunicazione del terzo millennio, sul filo sempre più impetuoso e invasivo di internet. Seguiranno la morte prematura del giovane figlio in un tragico incidente a Parigi avvenuto nel dicembre 1919, i problemi economici, le sfortunate disavventure professionali e le persecuzioni fasciste per essere stato tra i fondatori di Italia Libera nella città stabiese e per le sue sempre più aperte e dichiarate  ostilità contro il regime nero di Mussolini. Non a caso nella sua villa, nel verde della collina di Quisisana, si terranno numerose, segrete  riunioni di noti antifascisti.  Ma tutto questo, si sa, è un’altra storia, naturalmente da noi narrata, e tutta da leggere, per il piacere di quanti sono curiosi.[25]

 

 

 

 

Per contatti con l’autore, scrivere a, raffaele_scala@libero.it

 

[1]  Cfr. Alessandro Galante Garrone: Felice Cavallotti, pag. 384, Utet, 1976

Ferruccio Macola (1861 – 1910) morirà poi suicida, con un colpo di rivoltella, il 18 agosto 1910.

[2] Cfr. sitoweb,  LivornoMagazine.it: Il duce in duello a Livorno, articolo di Patrizia Poli

[3] Cfr. sull’intera  vicenda, Avanti!, 27 luglio 1950:Il Parlamento interpellato sulle scollature femminili; dell’8 agosto: Battaglia per la pelle; del 17 novembre:  Anche il marito della Toussan sfida a duello l’On. Scalfaro; del 25 novembre:  È una gallina l’onorevole Scalfaro? Per una rapida sintesi, con la lettera di Toto a Oscar Luigi Scalfaro, Cfr. www.antoniodecurtis.com: Totò, Scalfaro e la… malafemmina.

[4] Colgo qui l’occasione per ringraziare l’amico, avvocato Ivan Cimatti, per le preziose informazioni che mi ha fornito su Filippo Ungaro, personaggio sul quale da tempo sta lavorando per la pubblicazione di una sua biografia.

[5] Carlo Cassola (1917 – 1987), partecipò attivamente alla Resistenza contro il nazifascismo, insegnante di storia e filosofia, giornalista e saggista, scrisse romanzi diventati celebri, tra cui, Fausto e Anna, La ragazza di Bube e L’antagonista.

[6]  Cfr. Corriere d’informazione del 6-7 giugno 1956: Filippo Ungaro al capezzale delle banche, di Arnaldo Geraldini

[7]    Cfr. Avanti!, 25 agosto 1909: Vertenza cavalleresca fra giornalisti. 

[8]  Il Caffè Aragno, situato in via del Corso 180,  è stato, tra il 1890 e il 1955, uno dei più rinomati locali, frequentato da pittori e letterati, deputati e ministri, e, naturalmente, da giornalisti quotidianamente accampati presso il vicino Palazzo del Telegrafo, dove alcune sale erano riservate alla stampa. Tra gli altri ricordiamo Roberto Bracco, Vincenzo Cardarelli e dallo scrittore, poeta, drammaturgo e fondatore del futurismo, Filippo Tommaso Marinetti. E naturalmente dal nostro Cafiero e dagli altri protagonisti della incredibile vicenda.

[9]  Corriere della Sera, 27 agosto 1909: Sfide e pugni  tra giornalisti a Roma, art. non firmato.

[10]     Avanti!, 25 agosto, cit.

[11]       Avanti!, 31 agosto 1909: Giornalisti che si battono.

[12]  Avanti!, 28 agosto 1909: Code ad una vertenza tra giornalisti.

[13]   Corriere della Sera, 30 agosto 1909: Duello fra giornalisti a Roma, art. non  firmato.

[14]   Avanti!, 31 agosto 1909: Giornalisti che si battono.

[15]  Corriere della Sera, 2 settembre 1909: Duello alla pistola tra giornalisti, art. non firmato.

[16] Padre Anselmo Paribello:cit.

[17]  Anselmo Paribello: cit.

[18]Alberto Giannini /1885 – 1952), nato a Napoli, fu redattore de, Il Messaggero e  tra i fondatori del quotidiano, Il  Paese nel 1921. Militante socialista fino al 1914, divenne poi interventista, arruolandosi come volontario per la Grande Guerra.  Nel  1927 espatriò in Francia, evitando una condanna in contumacia di cinque anni di confino politico per attività antifascista. In gravi difficoltà economiche divenne  un infiltrato dell’Ovra e accettando del denaro affinché pubblicasse le proprie memorie di antifascista deluso, Le memorie di un fesso.  Rientrato in Italia negli anni Trenta, fondò e diresse diversi giornali. Cfr. Wikipedia e Treccani Enciclopedia on line, Dizionario Biografico degli italiani, ad vocem

[19]La Stampa, 5 settembre 1909: Un duello giornalistico che non ha avuto luogo, articolo non firmato.

[20]Andrea Petroncini lo ritroveremo nel 1925 nel Comitato direttivo fascista della Federazione della Stampa. Cfr. Avanti!, 8 dicembre 1925: La Federazione della Stampa conquistata dai fascisti.

[21]Raffaele Garinei, fu corrispondente di guerra per diversi giornali. Le sue foto, che ritraggono scene quotidiane della dura vita militare, sono conservate nel Museo Baracca di Lugo (RA). Garinei fu testimone del recupero delle spoglie di Francesco Baracca il 23 giugno 1918.

[22]Ernesto Butta (1877 – 1915), originario di Sassari, repubblicano convinto, al punto da essere politicamente schedato come sovversivo fin dal 1902, si arruolò volontario nella Legione Garibaldina guidata da Giuseppe Garibaldi, primogenito  di Ricciotti e nipote dell’Eroe dei due Mondi per combattere al fianco dei francesi contro la Germania, ancora prima che l’Italia dichiarasse guerra. Con il grado di tenente cadrà, in un feroce scontro contro i tedeschi,  l’8 gennaio 1915. Butta, giornalista del Giornale di Sicilia, redattore de La Ragione, organo del Partito Repubblicano e corrispondente da Roma del giornale italiano pubblicato a  New York, Il Giornale Italiano, aveva solo 38 anni, quando sarà ucciso da un proiettile durante l’assalto alla testa dei suoi uomini. Aveva avuto, nella sua brevità, una vita avventurosa e tormentata.

[23]Cfr. sul caso Calabretta il primo di una serie di articoli pubblicati dall’Avanti!, 1 agosto 1910: Il gravissimo scandalo al Cantiere di Castellammare di Stabia. L’arresto di un Colonnello del genio Civile e l’ultimo del 28 agosto: Il caso Calabretta. L’assoluzione del Colonnello. Infine citiamo l’articolo in prima pagina del 22 agosto in cui Ugo Cafiero viene chiamato direttamente in causa per aver gonfiato artatamente il caso: Il caso Calabretta. Chi è il commendatore obliquo?

[24]In un Paese democratico il potere si divide in  Legislativo, detenuto dal Parlamento che promulga le leggi, Esecutivo, la cui competenza è del Governo chiamato ad applicarle, e Giudiziario, il cui compito tocca alla magistratura, chiamata ad amministrare la giustizia. Il termine Quarto Potere viene reso celebre da un film del 1941 di Orson Welles in cui il tema centrale è la capacità di manipolazione e alterazione della realtà della stampa, influenzando le opinioni e gli atteggiamenti dei lettori.

[25]Per quanti fossero interessati possono leggere la mia, pur incompleta e parzialissima, biografia: Un giornalista d’altri tempi,Ugo Cafiero, su www.liberoricercatore.it pubblicata il 16 aprile 2018 e su www.nuovomonitorenapoletano.it pubblicata in data 10 maggio 2018.

Il presente lavoro approfondisce, chiarisce e corregge i vari ed accertati errori ed omissioni rispetto quanto pubblicato nella biografia sopra  citata per la parte riguardante la paradossale vicenda dei  duelli.

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