di Giuseppina Buscaino Nebbia
Sembra che siamo arrivati a un punto di svolta nella cura del Covid 19. Ci sono delle terapie che stanno dando buoni risultati. Stiamo avendo in Germania ottimi risultati con la sieroterapia cioè somministrando il plasma di persone guarite (la parte liquida del sangue, di persone che hanno contratto il Covid-19 e sono completamente guarite). In alcune città del nord Italia, come Mantova, sono partite delle sperimentazioni, che mostrano i primi risultati di successo in pazienti gravi. L’efficacia di questa opzione, già impiegata in passato nella Sars e nella Mers, è stata provata anche da uno studio in Cina, per ora su 10 pazienti, pubblicato sulla prestigiosa rivista Pnas. Quando il paziente guarisce, nel sangue si trovano anticorpi specifici, le immunoglobuline IgG, per il Sars-CoV-2. La loro presenza, più o meno abbondante, conferma la presenza di una sorta di protezione contro nuove infezioni da Sars-CoV-2. Questa immunità potrebbe essere uno strumento utile non solo per i guariti – ma anche per i malati, per aiutarli a combattere l’infezione. Il plasma viene trattato e ‘inattivato’ a livello virale, ovvero viene purificato eliminando eventuali patogeni, incluse eventuali tracce rimanenti del coronavirus, in modo da poter svolgere infusioni in completa sicurezza. In Italia ha dichiarato l’ematologo Gringeri: “Il protocollo clinico-sperimentale è stato sviluppato dalla Fondazione Irccs Policlinico San Matteo di Pavia, in collaborazione con altre strutture come quelle di Mantova e Lodi, e dall’Azienda Ospedaliera Universitaria di Padova”. Il trattamento è già stato applicato con risultati molto positivi in un gruppo ristretto di pazienti (circa una ventina) a Mantova. Gli esperti si stanno muovendo anche per rendere questa pratica più diffusa in un numero maggiore di ospedali e città italiane. Gringeri aggiunge: “Partendo dal plasma possiamo andare a prelevare soltanto le immunoglobuline, gli anticorpi specifici contro il virus, e ottenere un concentrato purificato di queste immunoglobuline iperimmuni”. “Così, invece che infondere tutto il plasma, potremmo somministrare, tramite endovena o eventualmente intramuscolo, soltanto gli anticorpi che servono a contrastare la malattia. Soprattutto in mancanza di un vaccino, questa ipotesi potrebbe rappresentare un’opzione ‘ponte’ per chi è già infetto e per le categorie ad alto rischio, come gli operatori sanitari”. “Un altro vantaggio è rappresentato dal fatto che in questo caso non è necessario che il plasma del donatore sia compatibile con quello del ricevente (in base al gruppo sanguigno), una combinazione che non sempre è semplice da avere”.
C’è un’altra intuizione del direttore del Dipartimento di anestesia e rianimazione dell’Azienda sanitaria universitaria “Friuli centrale”, Amato De Monte, che è quella di sfruttare l’ozonoterapia contro il coronavirus. Insieme all’infettivologo Carlo Tascini, che dirige la clinica Malattie infettive, e a un’équipe di colleghi, ha messo a punto un protocollo che potrebbe rivoluzionare l’approccio alla cura. E’ proprio dai dati sin qui ottenuti che è partita la richiesta di autorizzazione all’Agenzia italiana del farmaco e al Comitato etico dell’istituto Spallanzani di Roma di procedere con uno studio su 200 pazienti Covid-19. Per puntare così al suo riconoscimento dal punto di vista metodologico a livello di comunità scientifica internazionale.
Il trattamento dei malati con l’ozonoterapia associata ai farmaci antivirali ha dimostrato un rallentamento dell’infiammazione e una riduzione dei danni ai polmoni. La procedura prevede che dal paziente vengano prelevati 200 millilitri di sangue, che siano lasciati interagire con l’ozono per una decina di minuti e che gli siano poi reiniettati. Così per tre o quattro volte al massimo. L’infusione di ozono, in altre parole, contribuisce a potenziare la risposta dell’organismo nella lotta contro gli effetti dell’infezione in atto. In tre sedute –afferma De Monte – abbiamo visto miglioramenti clamorosi, con una decisiva riduzione del bisogno di supporto di ossigeno e non c’è stato bisogno di intubare.
Un’altra terapia potrebbe essere l’immunoterapia, ma questa a differenza della sieroterapia è costosa. Questa terapia è attualmente usata per combattere il cancro. A lanciare l’ipotesi è una ricerca coordinata da un infettivologo italiano, Antonio Bertoletti, che lavora alla Duke-NUS Medical School di Singapore.
Il trattamento utilizza i linfociti T ingegnerizzati per attivare il sistema immunitario contro le cellule tumorali, proprio come succede ad esempio per le infezioni.
I linfociti T del paziente vengono prelevati e successivamente geneticamente modificati in laboratorio in modo da renderli capaci di riconoscere le cellule tumorali: quando vengono restituiti al paziente entrano nel circolo sanguigno e sono in grado di riconoscere le cellule tumorali e di eliminarle attraverso l’attivazione della risposta immunitaria. Questo trattamento può essere usato anche per combattere i virus.
Insomma in poco tempo la Scienza, in fatto di Covid 19 ha fatto passi da gigante. Ne verremo fuori.
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