di Gabriella Notorio
Chi vive nei luoghi periferici di una città, spesso dimenticati da tutti, sviluppa un’altra resistenza, un altro tipo di tolleranza.Si diventa forti, animosi, proattivi e sorridenti. Non solo delinquenti o spacciatori dediti all’illecito e al sommerso. Nelle periferie vivono uomini, donne e bambini, che arrancano, vanno avanti nelle difficoltà, cercando un proprio equilibrio in una dimensione che starebbe stretta a chiunque. “Resilienza” è la rappresentazione metaforica di ciò che li induce ad andare avanti. Vivere e lottare per un alloggio dignitoso e sicuro non è da poco. Si lavora con tenacia, ci si arrangia anche per pochi soldi pur di portare avanti la baracca con dignità. La realtà delle periferie è anche questa: il sacrificio. Le periferie urbane hanno tanti problemi e non solo per la forte distanza dal centro. Oggi, quasi a mò di paradosso, alcune ricerche sociologiche ci descrivono l’esistenza di centri urbani che si stanno trasformando in periferie, si svuotano e si impoveriscono. Le periferie, dal proprio canto, si marginalizzano sempre più. La periferia della periferia. Disagio sociale ed abitativo, disparità economiche e di reddito, povertà culturale e dei servizi sono le caratteristiche di questi luoghi. La vulnerabilità e la fragilità ci descrivono la vita di chi, nonostante gli ostacoli, resiste, giorno dopo giorno. Periferia e perifericità a confronto. Rritorna il pensiero su uno dei più gravi problemi delle aree periferiche ovvero la povertà educativa. Frutto di una povertà economica e sociale su cui impatta il disagio abitativo delle famiglie, soprattutto quelle numerose. Nella periferia si specchiano pertanto le nostre società ormai disomogenee,fragilizzate e diseguali, in risposta ad uno sviluppo economico moderno troppo prepotente ed incombente. Diventa difficile, se non impossibile, il vivere civile. E allora urla forte quel bisogno di piani ed ipotesi di progettazione socio-territoriale di rigenerazione urbana. Rigenerazione intesa come rinascita dei luoghi, degli spazi, delle relazioni e dei vissuti senza cancellare le tradizioni e le abitudini. Sì, perché queste si intessono ugualmente nelle periferie, anche se più facilmente degradabili e corruttibili. Le periferie sono le voci di chi le vive, le anima, le popola. Voci che non possono essere demolite dall’incuria, dal disinteresse, dal disimpegno Sociale ed istituzionale. Ricostruire è il punto di partenza, per radere al suolo un quartiere difficile o invivibile. Radere al suolo lo stigma sociale, la colpa.
Rigenerazione e rivitalizzazione per portare nuove attività, servizi, scuole, aree di aggregazione culturale. La dialettica centro/periferia è vetusta e negli ultimi anni, in tutti gli studi urbanistici, architettonici e sociologici urbani ha ormai perso il suo valore iniziale, mostrando un’omogeneità ed una distribuzione differente. Si afferma un nuovo concetto. Non esiste idea di città senza una sua connessione alle periferie. La città cresce se riaffiorano le periferie. Finché la progettazione escluderà, tuttavia, il punto di vista di chi vive la periferia, senza interrogarsi sul tema dei bisogni non avremo nulla di buono. Si deve realizzare un processo di partecipazione diretta di chi vive la periferia, altri non avremo mai nessuna rigenerazione sociale e urbana rispettabile. Chi vive nelle periferie non può essere considerato il destinatario, ma è soprattutto il committente del suo territorio. L’edilizia pubblica non può più pensare di ignorare tali esigenze, illudendosi di costruire muri di cemento destinati a crollare e a travolgere storie, vite e vissuti.
A Scampia, alla sua comunità che resiste
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